La vicenda

Una cooperativa prende in appalto i servizi di pulizie presso una catena di alberghi. Alla fine del 2015 subisce un controllo ispettivo, a seguito del quale si vede contestare –in concorso con la società che controlla la predetta struttura alberghiera- il reato di appalto illecito di manodopera.
A parere dei funzionari, infatti, la direzione degli alberghi avrebbe potuto disporre direttamente dei soci-lavoratori della cooperativa, decidendo di tempo in tempo delle modalità del loro impiego. In sostanza, a parere degli accertatori, tra la cooperativa e la società si sarebbe solo simulato un appalto di servizi, mentre l’intento effettivo sarebbe stato quello di dissimulare una somministrazione di manodopera.
A seguito dell’accertamento, i legali rappresentanti delle due società vengono ritenuti responsabili dei fatti e la relativa notizia di reato viene trasmessa alla competente Procura della Repubblica.
Nel febbraio 2016, tuttavia, il reato previsto dal decreto legislativo n. 276/2003, viene depenalizzato. Per cui, trasmessi gli atti alla locale sede dell’Ispettorato del lavoro, i funzionari procedono a contestare i medesimi fatti -stavolta quali illeciti amministrativi- con verbale di accertamento.
Al fine di estinguere l’illecito relativo al ritenuto pseudo appalto, gli ispettori ammettono ciascuno dei legali rappresentanti al pagamento di una somma in cd. misura ridotta pari a € 15.000.
Parendo però la somma eccessiva, e temendo possibili e ulteriori effetti negativi, i legali rappresentanti delle due società intendono opporsi al Verbale.
Si domandano, tuttavia, quali siano con esattezza i rischi derivanti dalla contestazione.

La soluzione

La depenalizzazione avvenuta nel 2016 di molte fattispecie contravvenzionali punite con la sola pena pecuniaria ha riguardato anche i reati relativi all’illecita somministrazione e appalto di manodopera (art. 8, comma 1, D.Lgs 8/2016: “Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda”).
Benché le fattispecie punite dalla legge non siano mutate, la previsione del nuovo regime sanzionatorio ha creato una piccola “rivoluzione” nelle stesse strategie di chi intende difendersi dalle accuse degli ispettori.
Come noto, l’articolo 18 del decreto legislativo 276/2003 stabiliva l’applicazione della pena di una ammenda pari a € 50 per lavoratore e giornata di impiego illecito. Vale a dire che utilizzatore e fornitore, ritenuti responsabili dei fatti, potevano venire avvinti dalla medesima pena. Per esempio, per l’impiego non consentito di quattro lavoratori per quattro mesi (per esempio, per 92 giornate ciascuno, pari a 368 giorni complessivi), la pena irrogabile sarebbe stata pari a € 18.400 per ciascuno.
L’ottemperanza alla prescrizione ispettiva ai sensi del decreto legislativo 758/1994 –in genere la semplice cessazione della condotta illecita (tradotto: mandare a casa i lavoratori, cessandone l’impiego)-, portava il beneficio dell’ammissione a un tempestivo pagamento di una somma pari a un quarto dell’originaria richiesta (nell’esempio precedente, € 4.600 per ogni reo). Una misura senz’altro affrontabile.
Meno gestibile, invece, sarebbe stato il caso di una verifica che avesse dimostrato la somministrazione illecita, per esempio, di 80 lavoratori per le solite 92 giornate ciascuno. A fronte di un importo molto più che decuplicato (€ 368.000), l’eventuale migliore misura di estinzione sarebbe stata pari a € 92.000. Ben altro discorso. Tanto più che, chiaramente, a fronte di consimili contestazioni è corretto aspettarsi anche richieste di contribuzione e di altro genere.
Con la depenalizzazione di somministrazioni e appalti illeciti (cfr. Circ. Ministero lavoro, n. 6/2016), il legislatore, da un verso ha confermato la misura delle sanzioni proporzionali (che da ammende si sono trasformate in pari sanzioni amministrative: nel caso, € 50 pro die); dall’altro è venuto a stabilire un tetto minimo e massimo delle predette (art. 8, comma 6, cit.: “Se per le violazioni previste dal comma 1 è prevista una pena pecuniaria proporzionale, anche senza la determinazione dei limiti minimi o massimi, la somma dovuta è pari all’ammontare della multa o dell’ammenda, ma non può, in ogni caso, essere inferiore a euro 5.000 ne’ superiore a euro 50.000”). Cosa vuole dire?
Significa che se ci si trovasse al cospetto di un caso abnorme quale il precedente (80 lavoratori somministrati per 92 giornate), la (maxi) sanzione amministrativa “proporzionalmente” conteggiabile –al massimo- in € 368.000, comunque sarebbe ora “riducibile” alla somma -massima- di € 50.000. Diversamente, l’impiego illecito di un lavoratore per 3 giorni (€ 150: in passato estinguibile con la somma di € 37,50), oggi non potrà essere sanzionato con meno di € 5.000.
In definitiva, risulta più “conveniente” un approfittamento maggiore dell’illecito.
È chiaro che il trasgressore dell’illecito contestato con Verbale dagli ispettori -pure non essendo prevista la possibilità di sanatoria al minimo-, potrà essere ammesso, oggi, ricevuto il Verbale, all’estinzione con il pagamento di una somma in cd. misura ridotta (1/3 del massimo o il doppio del minimo: art. 16, L. 689/1981). Per cui, in luogo dei minimi di € 5.000, € 1666,67. Il tutto, entro 60 giorni e a prescindere da regolarizzazioni.
Ma cosa accade se il trasgressore non intende versare la “misura ridotta” nei termini di legge? È la situazione proposta nel nostro caso.
L’ammissione da parte degli ispettori al pagamento di € 15.000 (1/3 di quanto dovuto), ci segnala che la sanzione piena sarebbe pari a € 45.000 (pari, a sua volta, a 900 giornate di contestata somministrazione di manodopera).
Le possibilità che si presentano agli amministratori una volta ricevuto il Verbale sono pertanto due: 1) pagare ed estinguere l’illecito (sostanzialmente “ammettendo” i fatti: in effetti non si tratta di vera confessione); 2) opporsi alla successiva ordinanza-ingiunzione (che, data la misura fissa della sanzione proporzionale, già si sa che sarà pari a € 45.000).
Non essendo possibile alcuna “rimodulazione” della sanzione amministrativa, spirata la possibilità della misura ridotta, solo due saranno le alternative prospettabili: vincere in toto l’eventuale opposizione all’ordinanza ingiunzione; subire la soccombenza per la somma (ben maggiore all’iniziale) di € 45.000.
Non vi è dubbio che a queste condizioni, i presunti trasgressori della vicenda debbano ponderare attentamente quali siano le loro ragioni e possibilità di vittoria in sede giudiziale.
A fronte di scarse –o comunque “difficili”- percentuali di successo – così come di riflessi negativi su altri versanti (per esempio, se temono le pretese degli Istituti), l’opzione di approfittare dell’estinzione immediata dell’illecito con la cd. misura ridotta appare, senza dubbio, appetibile.

a cura di Studio Legale VetL

[V@L – Verifiche e Lavoro n. 3/2017]