La Corte d’appello di Milano cambia gli orientamenti giurisprudenziali sulla responsabilità.

Per i contributi risponde anche il datore di lavoro simulato.

In caso di appalto e somministrazione illeciti, contributi e premi possono essere richiesti non solo al datore di lavoro sostanziale, effettivo utilizzatore della manodopera, come sempre ritenuto fino a oggi, ma anche, in via alternativa, a quello formale e simulato. Una novità, rispetto all’azione di Istituti e organi di vigilanza, che può cambiare i generali rapporti tra committenti e appaltatori e i relativi rischi e responsabilità.

A favore dell’obbligo concorrente del datore di lavoro simulato (appaltatore) si è appunto ora pronunciata la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 102/2023 che costituisce un fondamentale revirement rispetto agli orientamenti giurisprudenziali finora tenuti. Per la Corte di Cassazione e la stessa prassi degli Istituti, infatti, si è sempre visto nel solo datore di lavoro dissimulato (committente dell’appalto) il debitore di Inps e Inail.

Nel tempo anche l’Ispettorato nazionale del lavoro, con la Circolare INL n. 10 del 2018, si era allineato alla tesi dell’esclusiva responsabilità sorgente dal rapporto di lavoro materiale, chiarendo come «l’unico rapporto di lavoro rilevante verso l’ente previdenziale [fosse] quello intercorrente con il datore di lavoro effettivo» (Cass. civ. 20/2016 e Cass. civ. 463/2012).

Per cui, se per esempio si fosse scoperto che con un contratto di gestione della logistica di un magazzino affidato a una società, si era in effetti intesa dissimulare un’indebita messa a disposizione di manodopera, solo il committente dell’appalto di logistica sarebbe stato chiamato in causa per i contributi non versati.

Gli Istituti hanno così sempre agito per recuperare la contribuzione e i premi dal datore di lavoro materiale sulla base del principio di effettività del rapporto di lavoro (indirizzandosi al committente utilizzatore quale reale datore di lavoro) e della pacifica giurisprudenza della S.C. per cui «in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è configurabile una obbligazione concorrente del datore di lavoro apparente per i contributi dovuti agli enti previdenziali» (Cass., Sez. Lav., Ordinanza 26.5.2020 n. 9782).

Per la Cassazione, in sostanza, se senz’altro vanno ritenuti satisfattivi i pagamenti e versamenti già posti in essere dal datore di lavoro apparente, tuttavia, dal punto di vista previdenziale e assicurativo, non si può derogare al principio per cui l’unico rapporto di lavoro rilevante è quello che si è accertato correre con il datore di lavoro effettivo (Cass., Sez. Lav., Sentenza 4.1.2016 n. 20).

Contrariamente a tale pacifico orientamento, tuttavia, la pronuncia della Corte d’Appello di Milano (sentenza 15.2.2023 n. 102) afferma adesso che qualora il datore di lavoro formale venga chiamato ad adempiere agli obblighi contributivi, questi non può liberarsi del proprio debito opponendo agli Enti previdenziali-assistenziali che si sarebbe realizzata una somministrazione irregolare. Per i giudici, infatti, in questi casi, anche il datore formale rimane comunque solidalmente responsabile con l’utilizzatore sostanziale per il versamento dei contributi evasi.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 138 del 13.06.2023]