La breve storia e la disavventura in tempi di pandemia di una risoluta azienda artigiana, salvata dal Giudice del lavoro.

In un anno molto difficile, quale senz’altro verrà per sempre ricordato il 2020, alcune aziende si rammenteranno -anche- di essersi dovute difendere, oltre che dalla pandemia, in taluni casi pure dall’Inps che non voleva concedere loro le previste e necessarie misure a sostegno della crisi.
Di tali sofferte esperienze, una vicenda significativa è quella occorsa a una piccola impresa artigiana, che è stata risolta tempestivamente e d’urgenza dal Giudice del lavoro di Viterbo, con ordinanza del 1.7.2020 (procedimento n. cronol. 3268/2020). Ma non sempre va così.
La disgraziata azienda del settore grafico occupava quattro dipendenti e nei mesi scorsi era vittima, come moltissime, del “blocco” imposto dall’emergenza Covid-19.
A seguito della sospensione della propria attività, ai sensi del D.P.C.M. del 22 marzo 2020, nell’aprile di quest’anno l’azienda presentava alla Regione Lazio domanda di concessione del trattamento di cassa integrazione in deroga (art. 22, D.l. n. 18/2020), per 9 settimane e per tutti i dipendenti. Nel fare ciò, dichiarava di non fruire di Cigo, Cigs, Fis, Fondi di Solidarietà Bilaterale o di altri ammortizzatori sociali.

“I trattamenti di cui al presente articolo sono concessi con decreto delle regioni e delle province autonome interessate, da trasmettere all’INPS in modalità telematica entro quarantotto ore dall’adozione, la cui efficacia è in ogni caso subordinata alla verifica del rispetto dei limiti di spesa di cui al comma 3. Le regioni e le province autonome, unitamente al decreto di concessione, inviano la lista dei beneficiari all’INPS, che provvede all’erogazione delle predette prestazioni, previa verifica del rispetto, anche in via prospettica, dei limiti di spesa di cui al comma 3. Le domande sono presentate alla regione e alle province autonome, che le istruiscono secondo l’ordine cronologico di presentazione delle stesse. L’INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa, fornendo i risultati di tale attività al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle regioni e alle province autonome interessate. Qualora dal predetto monitoraggio emerga che è stato raggiunto, anche in via prospettica il limite di spesa, le regioni non potranno in ogni caso emettere altri provvedimenti concessori”.

La Regione Lazio, verificata la regolarità della domanda, con propria determina di poco successiva, emetteva decreto autorizzatorio, trasmettendolo all’Inps per il pagamento.
Tuttavia, ai primi di maggio l’Istituto, anziché provvedere al dovuto pagamento in favore dei dipendenti dell’azienda, notificava all’azienda, mediante cassetto previdenziale, il diniego alla prestazione, motivando che l’azienda avrebbe dovuto ottenere prestazioni “a carico del fondo bilaterale di solidarietà dell’artigianato”. Inoltre, che la medesima aveva “diritto ad essere autorizzata ad altre prestazioni ordinarie (Cigo e Assegno Ordinario garantito dal Fis o dai fondi di cui all’art. 26,27 e 40 del D.lgs n. 148/2015) che dovranno essere richieste con causale Covid-19 Nazionale alla propria gestione di appartenenza”.
Eppure, l’azienda, in forza del requisito dimensionale sotto i sei dipendenti, proprio non rientrava nel campo di applicazione del D.lgs. n. 148/2015 e, per l’effetto dell’art. 3, D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, non poteva usufruire -come già esposto al momento della domanda-, né della Cigo, né dell’assegno ordinario da parte del Fis. Inoltre, non poteva neanche rivolgersi ai fondi bilaterali (i quali per effetto degli artt. 26 e 27 del D.lgs n. 148/2015, sono destinati obbligatoriamente all’aziende che occupano mediamente più di cinque dipendenti).
Per di più, l’azienda non era nemmeno iscritta volontariamente ad alcun Fondo di Solidarietà bilaterale dell’artigianato.
Per cui, restando ferma la posizione dell’Inps, l’azienda lamentava che l’Istituto non aveva adempiuto a una precisa disposizione amministrativa, declinando a terzi il pagamento di somme già nella sua disponibilità derivanti dallo stanziamento di 3.293 milioni di euro assegnati dallo Stato e ripartiti tra le Regioni e Provincie autonome, destinati alla Cassa integrazione in deroga (ex art. 22, comma 31, D.l. n. 17/2020).
Anziché iniziare un confronto estenuante -e, come noto a molti professionisti, spesso privo di soddisfacenti effetti-, l’azienda artigiana aveva la prontezza e la risolutezza di ricorrere d’urgenza al Giudice del lavoro, lamentando che, nel dovere fare pervenire celermente il sostegno al reddito a favore dei lavoratori dipendenti sospesi dal lavoro a seguito della emergenza Covid-19, l’Inps aveva solo l’onere di svolgere una mera funzione di soggetto intermediario erogatore, trattandosi, nel caso di Cig in deroga, di prestazioni attinenti gestioni non di sua competenza.

In definitiva, a fronte di una procedura semplificata, appariva sufficiente che i datori di lavoro inoltrassero l’istanza con una serie di altri elementi richiesti dai singoli “ format” alla Regione. Quest’ultima doveva solo verificare e approvare con decreto l’integrazione salariale, la quale veniva poi trasmessa all’Inps per il successivo pagamento diretto ai singoli lavoratori.
Tutti i requisiti del caso ricorrevano nella fattispecie, malgrado il rifiuto dell’Istituto, a cui pure non era concesso alcun potere di obiezione.
La pervicace resistenza dell’Inps generava un grave pericolo, sia per l’azienda, sia per i suoi dipendenti, in palese contrasto con il D.l. n. 18/2020 (recante, in modo pertinente, “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”).
Così, il Giudice del lavoro, adito con ricorso ex art. 700 c.p.c., riteneva che la doglianza dell’azienda ricorrente fosse fondata, atteso il chiaro dettato della norma d’urgenza.
In particolare, il Giudice del lavoro rilevava che

Così il Giudice del Lavoro di Viterbo, Ordinanza 1.7.2020
La legge prevede che siano le Regioni a concedere i trattamenti (a carico delle stesse) e l’INPS a erogarli, previa verifica del rispetto dei limiti di spesa, mentre non è dato rinvenire alcuna fonte normativa da cui scaturisca il sindacato dell’INPS in merito alla decisione di autorizzazione o meno da parte della Regione circa la domanda, fatta salva la sola verifica del limite di spesa. Considerato che nella fattispecie è documentato il decreto autorizzatorio, mentre la mancata erogazione da parte dell’INPS è motivata sulla presunta insussistenza nel merito dei presupposti e non già per il superamento dei limiti di spesa … con ciò il diniego dell’INPS si sovrappone all’autorizzazione della Regione, cui la legge ragionevolmente demanda la verifica dei requisiti, prevedendo che sia l’ente concessorio (tanto che la domanda presentata all’ente è corredata da una serie di dichiarazioni tra cui la non fruizione di CIGO, CIGS, FIS, FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALE o di altri ammortizzatori sociali).
A fronte di tali rilievi, ritenuto sussistente il “periculum in mora” -tenuto conto della chiusura dell’attività in forza del D.P.C.M. del 22 marzo 2020 e dell’incidenza che il mancato pagamento da parte dell’Inps della cassa integrazione in deroga per emergenza epidemiologica Covid-19, verosimilmente avrebbe sull’impresa alla luce delle dimensioni aziendali-, il Giudice adito accertava e dichiarava l’Inps tenuta al pagamento della Cig in deroga in favore dei dipendenti dell’azienda, con condanna alle spese legali.
Al di là della disamina della fattispecie specifica attinente alle misure di sostegno del reddito relativa all’emergenza Covid-19, la vicenda insegna che la dovuta risolutezza e rapidità nell’inquadrare e accedere agli opportuni contenziosi, anche contro l’Inps, può evitare molti e maggiori guai ad aziende e lavoratori.
[Sintesi n. 8/2020]