Definitivo il dlgs di attuazione del Jobs Act con la revisione delle forme di rapporto

Per i co.co.co. ora lo si può dire davvero: è la fine di un’epoca. Dall’entrate in vigore del decreto attuativo del Jobs Act, infatti, vanno a scomparire tutte le forme di collaborazioni, comunque denominate (con progetto, senza, mini-co.co.co.) già regolate dal decreto legislativo n. 276/2003. Insomma, le collaborazioni della «Biagi». Restano temporaneamente in piedi le collaborazioni già in essere tra le parti. Ma solo fino al loro spirare e taluni stringenti condizioni.

Quali «dinamiche» subiranno quei rapporti parasubordinati (atipici, come sempre li si è chiamati) che finora sono stati relegati a tale forma contrattuale, è ancora presto per dirlo.

Pensare che tutti possano quietamente «confluire» in forme contrattuali a tempo indeterminato appare troppo semplicistico e, per non poche aziende ex-committenti, pure piuttosto rischioso.

Semplicistico, poiché si è finora ricorso a rapporti di co.co.co. anche per situazioni che (per esempio, perché realmente genuine) male si attagliano a vedersi «stabilizzate» come ordinari rapporti di durata. Dunque, cos’altro? Come possono domani venire proficuamente «regolarizzate» tali relazioni, appare presto per dirlo. E che possa crescere «fisiologicamente» la sommersione, è un pericolo che non si può negare.

Ma può essere anche rischioso. In quanto quelle aziende che pensano di potere ottenere «tre» piccioni con una fava, stabilizzando collaboratori che non potranno essere più mantenuti come tali in azienda (primo «piccione»), a favore di contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, a tutele crescenti (secondo «piccione») e in grado di godere dei benefici triennali delle agevolazioni contributive ex lege 190/2014 (terzo «piccione»), non devono illudersi di avere risolto definitivamente i propri problemi.

Infatti, la «trasformazione» senza soluzione di continuità di pregressi rapporti di collaborazione in lavoro dipendente potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, quale vera forma di autodenuncia del pregresso. Che potrebbe in futuro fare perdere gli esoneri contributivi, con gravosissimi recuperi contributivi e sanzioni, per esempio, a seguito di accertamenti delle Sedi Inps, scattati anche tra qualche anno .

Un’ipotesi, quest’ultima, non solo prevedibile, ma già nella «mente» del legislatore. Il quale infatti, a partire dal 1° gennaio del 2016 ha previsto una speciale percorso di sanatoria dei co.co.co., trasformati a tempo indeterminato con premio dell’«estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro». Medesima opportunità verrà prevista pure per i rapporti con i titolari di partita Iva.

Condizione della sanatoria sarà che i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in sede sindacale, presso le direzioni territoriali del lavoro o avanti alle commissioni di certificazione. Inoltre, che nei 12 mesi successivi alle assunzioni, i committenti/datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro (salvo che per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo).

Si può però osservare che se tale è la previsione di legge, vuole dire che, nel frattempo, un prevedibile rischio per le aziende committenti c’è. Eccome. Tanto è vero che è lo stesso Jobs Act che esclude dall’ambito della predetta sanatoria «gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione».

Non serve troppa fantasia, insomma, a comprendere che tutto ciò non possa che sottintendere che le collaborazioni coordinate e continuative, ora più che mai (e salve le dette regolarizzazioni) diventano vero «terreno di caccia» per organismi pubblici di controllo.

Va ribadito, ad ogni buon conto, che le regolarizzazione che metteranno al riparo le aziende da spiacevoli imprevisti, saranno solamente quelle sottoscritte dopo il 1° gennaio dell’anno prossimo. Perciò, quanto «conciliato» finora tra le committenti e i collaboratori non potrà che valere nei rapporti interni, per evitare rivendicazioni dei lavoratori.

Se nei prossimi mesi si potranno ancora vedere presso le aziende i «soliti» collaboratori, magari perché prorogati con «previdente’ anticipo dalle aziende, a fare data dall’inizio dell’anno prossimo anche a tali rapporti si applicherà la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, ove operino con «prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

Quest’ultima vaga enunciazione del decreto attuativo, quantunque poco sistematica e comprensibile alla luce dell’elaborazione normativa, giurisprudenziale e dottrinale fino a oggi operata, sembra in effetti più intellegibile ove misurata su un approccio «repressivo» della valutazione delle co.co.co. passate.

Sotto questo punto di vista, in effetti, essa sembra non lasciare scampo pressoché a nessun committente e rapporto di collaborazione che non si palesi marcatamente autonomo.

In definitiva, senz’altro dal 2016, ma, prudentemente fin da ora, appare consigliabile pensare a «dismettere» qualunque rapporto di co.co.co. in essere.

A meno che, come il decreto attuativo stabilisce, ci si intenda rivolgere a una Commissione di certificazione e quest’ultima non sia in grado di confermare nel co.co.co. l’assenza dei requisiti sopra descritti. Una soluzione che si può già pronosticare, nella generalità dei casi, come poco praticabile e praticata.

Di diversa serenità potranno invece godere quei committenti parti di rapporti di collaborazione «salvati» da accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, purché ciò avvenga «in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore». Quali saranno i settori interessati, lo si saprà a presto.

Ma potranno continuare anche nel prossimo anno, e fino a scadenza, pure le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; quelle per attività quali organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi Sette n. 140 del 15.06.2015]

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