Per il tribunale di Milano l’amministrazione convenuta non può limitarsi a opporre i verbali
Spetta all’Istituto dimostrare la fondatezza della pretesa

Spetta agli enti previdenziali provare la fondatezza delle proprie pretese contributive. Anche il tribunale di Milano dice stop agli «inseguimenti» e alle prove diaboliche. E, soprattutto, alle «inversioni» dell’onere di provare le proprie ragioni per coloro che si vogliono difendere da indebite pretese, a titolo di contributi e premi. In tale senso, infatti, come oggi conferma anche il giudice del lavoro del capoluogo lombardo (sentenza n. 545/2015 del 26 febbraio), si sta affermando un più favorevole orientamento giurisprudenziale. Per cui aziende e datori di lavoro che intendono prevenire le azioni esecutive degli istituti, anticipando i giudizi con proprie azioni di accertamento, non saranno più costretti a fornire dimostrazioni sovente molto più che complesse. Spetterà piuttosto a Inps, Inail e agli altri enti pubblici dare dimostrazione del diritto sottostante alle proprie richieste economiche.

Un revirement storico che, dopo avere conquistato i giudici di legittimità (cfr Cassazione n. 14965/2012), si sta ora consolidando presso quelli di merito. Come nel caso della decisione milanese sopraddetta. La quale costituisce l’esito di un giudizio che il titolare di un pubblico esercizio era stato costretto a promuovere per difendersi dalle «illazioni» degli ispettori di un istituto. I funzionari avevano visto nell’attività di lavoro svolta dalla sua compagna, un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. Il tutto, però, senza alcuna prova di gerarchie, modalità di lavoro, orari, né di altri indizi sintomatici di eterodirezione. Malgrado la carenza evidente di prova, i ricorsi amministrativi proposti venivano rigettati senza esitazione, con conseguenze economiche notevolissime (nel caso, per decine e decine di migliaia di euro, tra contributi richiesti e sanzioni) che l’esercente non sarebbe stato in grado di sostenere. Dunque, per evitare il peggio e vedersi costretti a «rincorrere» l’amministrazione in richieste pecuniarie esecutive, l’unica via, malgrado la prova in salita, era quella di promuovere un contenzioso giudiziale contro gli ispettori.

Nel caso, non solo il tribunale di Milano ha riscontrato l’inesistenza di elementi per affermare la supposta subordinazione. Ma ha anche affermato il fondamentale e innovativo principio per cui, ove si operi a seguito di verbali di accertamento ispettivo, l’amministrazione convenuta in giudizio non si può limitare a opporre il proprio accertamento, ma è tenuta ad attivarsi per dimostrare concretamente quanto afferma e pretende.

Infatti, a parere del giudice milanese, come della più evoluta giurisprudenza di legittimità, risulta del tutto conforme alla regola della distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 del codice civile, che in questi casi sia l’istituto convenuto a dover fare valere, virtualmente o concretamente, il diritto contestato. Per la sentenza n. 545/2015, l’opposto orientamento contrasterebbe, invece, con la lettera e i principi del codice civile.

Del resto, sarebbe ingiustificabile pretendere che fosse il cittadino che agisce a dover dimostrare l’inesistenza del diritto affermato a priori da Inps, Inail e altri. In tale ipotesi si aggraverebbe inspiegabilmente la posizione di soggetti indotti a promuovere un’azione di accertamento negativo a causa di iniziative, stragiudiziali o giudiziali, poste in essere mediante «strumenti particolarmente efficaci della controparte». Come, per esempio, sono senz’altro i poteri ispettivi di indagine, di accertamento e la speciale rilevanza che la legge connette ai medesimi.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 70 del 24.03.2015]