Lavoratore e datore di lavoro possono accordarsi per sospendere prestazione di lavoro e retribuzione in casi straordinari, ma i versamenti all’Inps saranno comunque sempre dovuti.
È questo il senso di quanto ribadisce la sentenza n. 15120 del 3/6/2019 della Cassazione. Un duro colpo anche per le aziende più comprensive verso i propri dipendenti.

Prendiamo il caso di un lavoratore che abbia un grave problema di famiglia. Fatto ricorso a tutti gli istituti di legge e contrattuali, potrebbe chiedere al proprio datore di lavoro un ulteriore ed eccezionale periodo di aspettativa, auspicando di non perdere il proprio posto di lavoro.
Se il datore di lavoro fosse deciso a mantenere il proprio dipendente e gli venisse incontro, accordandogli l’assenza richiesta, comunque, a parere della S.C., ciò non potrebbe occorrere a discapito della contribuzione Inps.

Già nel settore edile vige un rigido sistema di contribuzione minima, per cui, a prescindere dal lavoro effettivamente svolto, i versamenti non possono essere inferiori a quelli previsti per un lavoratore full-time. In quel caso si parla di «retribuzione virtuale» e il regime viene stabilito dall’art. 29, dl n. 244/1995.

A parere della sentenza n. 15120/2019, tuttavia, il fatto che negli altri settori merceologici non sia prevista un’espressa previsione in tale senso (quale infatti non è, testualmente, l’art. 1, dl n. 338/1989 sui minimali retributivi), non significa affermare la libertà delle parti del contratto di lavoro a ridefinire a proprio piacimento l’orario di lavoro.
Per cui, salvo ipotesi di aspettative e permessi già espressamente stabiliti per legge e Ccnl, ogni diversa articolazione dell’orario di lavoro (quali sono pure le assenza non retribuite extra ordinem) farà sì che gli enti previdenziali e di assistenza possano comunque pretendere dal datore di lavoro le differenze contributive rispetto ai previsti «minimali».

Del resto, non dovranno stare in guardia solo i datori di lavoro sensibili alle istanze dei propri dipendenti. Infatti, di recente, anche aziende costrette a subire le assenze arbitrarie dei propri dipendenti (es. perché non tornati dalle ferie senza avvisare) vengono condannate ai maggiori versamenti contributivi (cfr. Giudice del lavoro di Milano, sentenza n. 2215/2018: «… nemmeno se il fatto che comporta il mancato espletamento delle prestazioni lavorative sia dipeso dal lavoratore»).

Una situazione già gravosa per le imprese, complicata dalla prassi degli enti previdenziali di presumere, in caso di aspettative e permessi non retribuiti, la lesione dei minimali contrattuali. Vale a dire che, meramente riscontrate le assenze sul Libro Unico del Lavoro, di prassi gli Istituti presumono la lesione dei minimali retributivi.
Un «automatismo» non previsto dall’ordinamento, che intende assolvere alla funzione di facilitare la prova che incombe sugli enti previdenziali.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 187 del 09.08.2019]