Gli occhi di tutti per un’amministrazione davvero trasparente.

Vigilare sui vigilanti. O, come si dice tradizionalmente, controllare i controllori. La domanda classica che sorge pensando a situazioni in cui vi sia chi giudica e chi è giudicato è: ma chi controlla i controllori? Il massimo del civismo vuole che lo facciamo, diffusamente, tutti noi cittadini. Parlando di rapporti di lavoro e, in particolare, dei controlli ispettivi da parte di organismi pubblici, i casi e motivi dell’odierna urgenza di una tale, attenta (e diffusa) sorveglianza sono senz’altro presenti a tutti noi. Un’azione che sarebbe stata molto utile in moltissime situazione che, ne siamo certi, ciascuno di noi ha ben presente. Per esempio, basti pensare alla vicenda di quel pubblico esercizio a cui venne contestato con verbale ispettivo –pure in modo piuttosto circostanziato- l’esistenza di un rapporto di lavoro con una commesso dipendente. Il proprietario del locale –sotto la sferzante insistenza del suo consulente che chiedeva ragione della cosa, di cui era rimasto del tutto ignaro- trasecola. “No, non è stato così, glielo giuro”, si ostina disperato con chi lo assiste da anni, amorevolmente, e ora volge su di lui un occhio impietoso di rimprovero. Eppure –contesta quel consulente al suo cliente- nel verbale ispettivo si parla chiaro: si dice che gli ispettori hanno assunto i loro provvedimenti -contestando lavoro irregolare part-time per svariati mesi- sulla base di un verbale dei vigili urbani. “Pubblica fede fino a querela di falso”, sibila il consulente, riconoscendo la difficoltà a superare le attestazioni dei pubblici ufficiali. “Sì, è vero che da me sono passati i vigili urbani proprio un giorno in cui c’era, ahimè, un lavoratore “a giornata”! Però, quello, era stato lì solo quel giorno. Anzi, solo mezzo pomeriggio di quel giorno”, protesta la propria innocenza il cliente. Il consulente, torvo, è deciso ad andare fino in fondo alla faccenda: essere preso in giro, quantunque da un cliente pagante, non gli va proprio. Con lui si riga dritto. Così, propone accesso agli atti presso la sede dei Vigili urbani. I quali, una volta tanto, non hanno nulla da ridire e gli esibiscono le “carte” che cercava: in particolare, la dichiarazione del lavoratore interessato e quanto appurato dai Vigili stessi. E, guarda un pò, in quei documenti risulta solamente che il lavoratore “a giornata” fosse stato presso il suo cliente proprio quel giorno, come gli era stato riferito. Quel giorno solo, e basta.Come sono potuti, quindi, giungere, gli ispettori, alla ricostruzione di un rapporto di lavoro tra le parti, addirittura durato per mesi? Non è dato sapersi. O comunque –e ciò è la stessa cosa, ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 124/2004- non risulta scritto nel verbale ispettivo. A questo punto il consulente decide che la ragione del proprio cliente appare tanto evidente che occorre senz’altro proporre ricorso al Comitato Regionale per i rapporti di lavoro. “Spieghiamo per bene la cosa all’amministrazione e, sono certo, vinciamo di sicuro”,medita il consulente. Prepara con estrema cura il ricorso, perciò. Indica con chiarezza quale sia lo stato dei fatti e la documentazione. Espone come la prova in mano agli ispettori (quella “confezionata” dai Vigili) concerna, in modo palese, un giorno solo e non certo mesi, come i funzionari hanno voluto credere. Spedisce il ricorso a quel Comitato Regionale e, con una speranza forte nel cuore, attende che ngiunga il giorno della decisione. Passano i mesi e un dì, ecco che vede arrivare una email ufficiale (via Pec, come accade oggi). Non attende un attimo, fa clic, e gli si dischiude davanti agli occhi il responso. Rimane sconcertato. Il Comitato non gli dà ragione. Ma, in fondo, neppure torto. Semplicemente l’alto consesso dichiara che dato che si controverte di qualificazione di lavoropart time, “non deve ritenersi ammissibile” il proposto ricorso, in quanto strumento utilizzabile per impugnazioni in materia di “sussistenza e/o qualificazione del rapporto di lavoro”. Una pronuncia choc, come si direbbe oggi. Di più, una decisione incomprensibile. Infatti il consulente non la comprende affatto. Non parlava forse di sussistenza e qualificazione di lavoro, il suo ricorso? Già medita come dare la notizia al cliente (l’aveva un po’ troppo illuso sul “certo” successo dell’iniziativa). Senz’altro è deciso a non dire nulla ai colleghi consulenti, intimamente sospettando di avere commesso un errore di valutazione e professionale di cui è meglio non fare girare la voce. E così, dopo questo caso, l’amministrazione potrà continuare per decine, centinaia, di altri consimili ricorsi a decidere “pazzamente”, nello stesso modo. Decisioni che non stanno, né in cielo, né in terra, come si dice. Pronunce e vezzi su cui è tempo che gli occhi di tutti –quantomeno quelli dei professionisti interessati- appuntino la loro attenzione. Se, in effetti, si mettessero a confronto le esperienze di molti (se non di tutti), si avrebbe un quadro chiaro del reale modo di agire dell’amministrazione e di come, molto spesso, essa sfrutti il proprio “dominio di quota” per condotte che non affondano certo nella legge. Un confronto utile, che salverebbe molti (se non tutti) e deflazionerebbe davvero le pretese ingiuste e il contenzioso. Insomma, non è la sola amministrazione da sé che può garantire la propria trasparenza. Piuttosto, sono gli occhi davvero attenti dei cittadini sull’azione amministrativa che permetteranno una vera trasparenza e il rispetto del diritto. Dopo di ché, basterà che tutti inizino davvero a raccontare ciò che si hanno visto.

di Mauro Parisi

[The World of Il Consulente n. 41/2013]