Gli effetti della legge 76/2016 sulle unioni civili

Lavoro in piena regola del convivente di fatto nell’impresa del proprio compagno o compagna. Gli ispettori e i giudici devono tenere conto del nuovo status giuridico previsto dalla legge n. 76/2016 sulle unioni civili. Quindi, stop alle contestazioni di lavoro nero, da parte dei funzionari, fino a oggi, pressoché «automatiche», per i conviventi che vengono trovati al lavoro in azienda in difetto dell’esistenza di un «rapporto di società o di lavoro subordinato». Si tratta, come detto, di uno degli ulteriori effetti in ambito lavoristico della legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 del 21 maggio, sulla «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze». Infatti, il provvedimento introduce nel codice civile un ulteriore articolo 230ter, successivamente all’articolo 230bis, dedicato all’impresa familiare.

Se per il lavoro tra soggetti dello stesso sesso uniti civilmente il problema del lavoro nell’impresa del compagno di vita (si pensi anche a quanti addirittura hanno avviato di comune accordo un’attività, tuttavia «intestandola» a uno solo di essi), si poteva dire superato con il generale rimando, da parte della nuova legge, alla disciplina della famiglia, non così per i conviventi di fatto. Oltre a prevedere, come ora accade, una speciale rilevanza giuridica della convivenza fattuale, occorreva un intervento «lavoristico» ad hoc.

Conscio di tanto, il legislatore ha perciò ritenuto opportuno dedicarvi un’apposita previsione della legge sulle unioni civili. Così, a tenore della nuova disposizione dell’articolo 1, finalmente anche al convivente non coniugato o unito civilmente che opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, spetta «una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquisiti con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato». Su tali rapporti potranno incidere anche i nuovi contratti di convivenza. In sostanza il nuovo comma 46 dell’articolo unico della legge sulle unioni civili viene oggi ad assimilare al lavoro dei coniugi, parenti e affini nell’impresa di famiglia, quello della persona maggiorenne unita stabilmente all’imprenditore «da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale». Si tratta della condizione fattuale di coppie di qualsiasi genere, la cui coabitazione stabile deve risultare dalla dichiarazione anagrafica di cui al dpr n. 223/1989. La nuova legge precisa che le convivenze rilevano, purché tra persone non vincolate da rapporti di «parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da un’unione civile».

Finora accadeva che per il proprio lavoro, talvolta di molti anni, il cosiddetto convivente more uxorio, magari pure legato da figli all’imprenditore, non potesse vantare alcuna rilevante pretesa «lavoristica» (come invece quanto al coniuge e agli altri parenti) nei confronti del proprio convivente per cui aveva prestato attività. Il drammatico vuoto risultava di evidente rilevanza soprattutto alla cessazione della stessa convivenza, allorquando a rivendicazioni personali, per lo più legate ai figli, e ad altri vari aspetti patrimoniali, si accompagnavano non di rado cause di lavoro (oltre che denunce a ispettorati ed enti previdenziali), volte al riconoscimento di rapporti di lavoro subordinato e al recupero della contribuzione.

La condizione, oggi status, di convivenza, del resto, neppure era opponibile (come invece accadrà all’entrata in vigore della legge sulle unioni civili) agli ispettori di Inps, Inail e ministero del lavoro. I quali, salvo la formalizzazione di appositi contratti di lavoro subordinato o autonomo tra i conviventi di fatto, per l’attività di lavoro del convivente andavano pacificamente a contestare lavoro irregolare, recuperando la relativa contribuzione. Talvolta, con sanzioni e recuperi, dati gli anni trascorsi, da capogiro.

Tutto superato con la nuova legge n. 76/2016. Ai conviventi nell’impresa del compagno, ove non intendano concludere altri contratti di lavoro o società, e fermi gli obblighi di denuncia agli istituti previdenziali, spetterà la stessa posizione vantata fino a oggi dai collaboratori familiari.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 123 del 24.05.2016]