Principio di legalità: questo sconosciuto! Non sempre, forse. Non ovunque, può darsi. Ma senz’altro –spesso e volentieri, ahimé- nel mondo dei controlli in materia di lavoro. La cosa, oltre che inaccettabile giuridicamente, pone problemi seri, tanti problemi. Ma innanzitutto uno: le garanzie dei soggetti controllati, ispezionati, vigilati, verificati, rischiano di andare in fumo.

Con effetti dolorosi e, sovente, economicamente molto apprezzabili. Come è noto, il principio di legalità è quel concetto di civiltà, prima ancora che di diritto positivo, che stabilisce che nessuno può essere punito per avere commesso un fatto che non sia previsto espressamente e puntualmente come illecito dall’ordinamento. La Costituzione parla chiaro, al riguardo. L’articolo 23 della Carta costituzionale prevede che “nessuna prestazioni patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla legge”. L’articolo 25 della medesima dispone, inoltre, che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Proseguendo, pure in ambito penale la lezione appare chiara.

L’articolo 1 del Codice penale dispone che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”, mentre l’articolo 2, commi 1 e 3, del Codice penale prevede che “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva più reato”. Ancora, anche in ambito amministrativo –terreno in cui opera la parte più significativa delle ispezioni in materia di lavoro- capita che l’articolo 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 stabilisca che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”. Tutto chiaro, quindi? No, parrebbe. All’indomani dell’entrata in vigore del Collegato lavoro (legge n. 183/2010), il 24 novembre scorso, capita di leggere ancora –malgrado la cogente lettera della legge e l’insormontabile norma di principio di cui abbiamo detto- che, per esempio in materia di contrasto al lavoro sommerso, gli ispettori del lavoro, indagando delle “condotte illecite che si siano esaurite primaentrata in vigore del Collegato lavoro”, sono chiamati ad applicare “la precedente disciplina sanzionatoria”.

Quella abrogata, insomma. Alla faccia della volontà sovrana del legislatore,che evidentemente la pensava altrimenti. ò così pure avvenire di imbattersi in affermazioni ufficiali per cui, l’ispettore che verifica la regolarità dell’impiego di lavoratori somministrati, deve considerare “in nero” tutti quei casi in cui, “la regolare occupazione del lavoratore somministrato, in missione presso l’utilizzatore, [non sia] dimostrata con l’esibizione del contratto di lavoro sottoscritto dalle parti o della comunicazione di invio in somministrazione”. Vale a dire che -dato che la comunicazione di assunzione dei lavoratori somministrati può essere per legge effettuata entro il ventesimo giorno del mese successivo a quello del primo impiego- se non si esibisce all’ispettore il contratto di somministrazione o la comunicazione di invio del lavoratore, quest’ultimo verrà ritenuto ipso facto “sommerso”. Peccato però che la norma –appena modificata dal Collegato lavoro, del resto- sia molto chiara sul punto: possono essere considerati in nero solo “i lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato”.

Ciò significa, in sostanza, che il principio di legalità –che ha tra i suoi corollari la tassatività della norma e il divieto di analogia- non permette nel modo più assoluto di applicare il precetto e la sanzione in casi pure “simili”, ma non previsti espressamente dalla legge. Certo, si può senz’altro affermare che il legislatore avrebbe potuto e dovuto pensarci. Però è altrettanto vero che non l’ha fatto. E se non l’ha fatto non è possibile –neppure con una circolare amministrativa-, “disporre” altrimenti. In questi casi c’è senz’altro da attendersi che gli ispettori si atterranno all’orientamento ufficiale impartito. Ma occorre anche ricordarsi che, in tali casi, i provvedimenti dei funzionari non potranno senz’altro che ritenersi pienamente invalidi e passibili di impugnazione in ogni sede. Basta conoscere le regole, quindi. E farsi rispettare.

di Mauro Parisi