L’Inps punisce anche i debiti incolpevoli

Per i crediti dell’Amministrazione non riscossi, pure se certificati, il danno per gli imprenditori rischia di diventare doppio.

Infatti, non solo capita – e di frequente- che le aziende non ricevano i soldi per i servizi e i beni forniti. Così non riuscendo a soddisfare i propri debiti “pubblici”, come, per esempio, quelli nei confronti dell’INPS. Ma, a causa del mancato versamento di quanto dovuto, accade anche che le medesime si vedano arrivare il classico avviso di addebito a causa del loro … ritardo: ossia, la richiesta del pagamento delle sanzioni civili per le loro omissioni in buona fede.
E’ quello che è accaduto in questi giorni ad alcune aziende che avevano compiuto lavori in edilizia, senza che poi pervenissero i pagamenti da parte dei comuni “beneficiati”.

Così non riuscendo a coprire i costi previdenziali dei propri dipendenti, per salvaguardare la loro attività erano state costrette (almeno) a richiedere l’emissione del documento di regolarità contributiva con certificazione dei propri crediti (peraltro, certi, liquidi ed esigibili).
Come è noto è questa la facoltà prevista dall’articolo 13bis, comma 5, del decreto legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94. Quale condizioni per il rilascio di un Durc regolare è l’esistenza di un credito già esigibile nei confronti della P.A. “di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto”.
Tali certificazioni dei crediti devono essere rilasciate con le modalità stabilite dai decreti di attuazione del Ministro dell’Economia, attraverso la cd. “piattaforma per la Certificazione dei crediti”.

Dunque, l’impresa creditrice, dapprima richiede e ottiene tale certificazione. Quindi, una volta generata quest’ultima sulla piattaforma, si potrà attivare per il procedimento di richiesta del Durc tramite lo sportello unico previdenziale.
Fra l’altro, come bene evidenzia la Circolare INPS n. 16 del 30 gennaio 2014, la certificazione emessa dalla “piattaforma” può essere utilizzata pure per la compensazione di somme iscritte a ruolo ai sensi del DPR 602/1973.
E fino a qui, tutto (abbastanza) bene.

I guai, tuttavia, paiono appena all’inizio. Infatti, se è vero che venendo a mancare il versamento da parte delle amministrazioni debitrici, nulla viene richiesto alle aziende a titolo di “capitale” (ossia i contributi dovuti e di cui non si è in grado di operare i versamenti), il ritardo (che pure si direbbe incolpevole, a questo punto, essendo stato “certificato”) viene invece sanzionato.
Ecco così fioccare –è storia di questi giorni- gli avvisi di addebito nei confronti delle aziende creditrici, con la richiesta, ai sensi dell’art. 116, legge 388/2000, di somma per avere tardato di versare quanto dovuto per tempo.

Una situazione illogica, innanzitutto. Ma, soprattutto, profondamente ingiusta.
Del resto, lì dove le aziende hanno provato a protestare con le sedi INPS competenti, si sono sentite rispondere che la Circolare del Ministero del lavoro n. 40 del 2013, data la sostanziale permanenza della situazione debitoria, consente all’INPS, Casse edile e a quanti vantino crediti nei confronti dell’azienda creditrice di fare valere i propri poteri sanzionatori e di recupero delle somme in forma coattiva, previsti in caso di omessi versamenti di somme a titolo di contribuzione.

Insomma, gli avvisi di addebito per tali sanzioni civili sono emessi correttamente e non è consentito farne sgravio, neppure parziale.
Se non è iniquo questo…

di Mauro Parisi

[The World of Il Consulente n. 63 del 03.02.2015]