Mancano le leggi che tutelano le aziende sui tempi delle ispezioni.

Controlli sul lavoro «senza tempo». Sono le ispezione di Inps, Inail e ministero del lavoro. Durano quasi sempre mesi e, non di rado, anni. Molto più rapida e virtuosa è, solitamente, la Guardia di finanza, capace di chiudere i propri accertamenti anche in qualche settimana. Per tutti, non si giunge però mai a contestazioni immediate. Con l’avvio dei controlli sul lavoro, insomma, per molte aziende inizia un incubo «a lungo termine». Per i professionisti che le assistono, invece, si ripropone l’interrogativo su quali siano gli effettivi poteri dei funzionari di tenere «sulla corda» tanto a lungo imprese e datori di lavoro. Ma pure ai lavoratori non va meglio, dato che un lento accertamento significa l’impossibilità di vere tutele, come quella agli stipendi non corrisposti.

Ma quali sono davvero i termini di legge per le indagini preliminari alle contestazioni e ai verbali ispettivi? Nell’ordinamento, in realtà, non è previsto alcun limite e riferimento al riguardo. Così gli uffici ispettivi interpretano la circostanza come licenza ad agire liberamente. Almeno sul fronte temporale. Le ragioni di tutela per cui ciò non appare accettabile sono evidenti. Ma a ciò si deve aggiungere, tra l’altro, che per quanto concerne gli accertamenti previdenziali, i ritardi possono condurre ad aggravi sanzionatori notevoli. Basti pensare alle sanzioni civili aggiuntive sui contributi evasi (quelle dovute ex legge 388/2000) che vengono richieste se, per dire, l’impiego non genuino di un lavoratore a progetto, una volta scoperto, sia contestato nel giro di pochi giorni, anziché dopo qualche mese. O addirittura un anno.

Nel vuoto normativo, il ritardo nelle risposte sui controlli provoca incertezze anche su scelte e investimenti delle imprese. In effetti, appare molto più garantistica e regolamentata la disciplina dell’indagine penale, quella prevista dal codice di procedura penale, per cui sono previsti tempi precisi di chiusura delle investigazioni, rispetto a quella (non) stabilita per i controlli amministrativi volti a quanti impiegano personale irregolare, simulano rapporti di lavoro o non versano contributi. In questi ultimi casi le indagini iniziano un certo giorno, quando i funzionari compaiono alle porte dell’azienda, mostrando il loro tesserino, e possono durare, inspiegabilmente, anche se nel frattempo accade, o viene fatto, poco o nulla, per molto tempo. Per modo abituale di procedere, gli ispettori sono soliti sentire qualche lavoratore e, magari, lo stesso titolare dell’azienda. Quindi visionano la documentazione rinvenuta. Alla fine del primo ingresso in azienda, essi rilasciano il tradizionale verbale (di primo accesso, appunto). E di solito nell’azienda «incriminata» non fanno più ritorno. Richiedono presso i loro uffici la produzione di ulteriori documenti e, magari, si recano per chiarimenti presso lo studio del professionista che segue gli ispezionati. Poi, tra intimi approfondimenti, silenzi e riflessioni, gli accertamenti sembrano non trovare mai una conclusione definitiva. Spesso trascorre talmente tanto tempo che le aziende giungono a credere che, per dimenticanza dei funzionari, il pericolo sia scongiurato. Ma, all’improvviso, si materializzano (con notifica) le contestazioni, con richieste di sanzioni e contributi. Tutto normale? Fino a un certo punto.

Va detto che se pure l’ordinamento difetta della presenza di una disposizione normativa puntuale, non mancano le previsioni amministrative a concludere gli accertamenti «nei tempi strettamente necessari, tenendo conto della complessità dell’indagine e delle dimensioni aziendali del soggetto sottoposto al controllo». Come, per esempio, nel Codice di comportamento degli ispettori del ministero del lavoro e degli Istituti di previdenza. Si tratta, però, di indicazioni di giusto procedimento e ragionevolezza che normalmente vengono disattese. Del resto, quando un’indagine può dirsi «complessa»? E quando la «dimensione» di un’azienda può fare presumere una lunga indagine? Certo, sei mesi per dire se il contratto di apprendistato di una cameriera di un bar è genuino paiono senz’altro troppi. Tanto tempo inutilmente trascorso dovrebbe fare ritenere l’atto viziato. Ma la scarsa dimestichezza dei Tribunali civili, che giudicano delle ispezioni, con la categoria del vizio di eccesso del potere (quello in cui incorre chi prolunga irragionevolmente i tempi) non conduce mai a condanne della p.a.

Se i tempi delle indagini non sono certi, l’unica effettiva garanzia prevista dalla legge (art. 14, legge 689/1981) è quella per cui, una volta che gli ispettori «scoprono» l’illecito, la contestazione deve avvenire entro 90 giorni. Un limite che, però, è normalmente aggirato. Infatti, malgrado indagini durate mesi e mesi (sulla carta), accade che i verbali ispettivi riportino invariabilmente la circostanza che l’accertamento pieno (la «scoperta») degli illeciti è avvenuto solo pochi giorni prima della notifica del verbale stesso. Così evitando di incorrere nelle decadenze tombali di legge.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 118 del 20.05.2014]