Nella “battaglia” dei recuperi contributivi Inps, la sentenza n. 1762/2019 del Tribunale di Milano richiama a più attenti riferimenti di legalità e di garanzia.

Si intravede una luce nelle tenebre. Per chi subisce, o teme di subire, recuperi dall’Inps per il godimento di agevolazioni contributive e di esoneri, l’illuminante sentenza n. 1762 del 2019 del Giudice del lavoro di Milano mostra di essere un importante revirement (e faro) nel drammatico quadro del confronto tra Inps e aziende.

Si tratta di una “competizione” – quella tra Istituto, con le sue pretese recuperatorie, e contribuenti, con le loro spaventate difese – che ha senz’altro mostrato, fino a qui, piuttosto caratteri di “emozionalità”, che di severa attinenza al dettato normativo.

Volendo semplificare i termini attuali dello scontro in atto, sia in ambito stragiudiziale sia giudiziale, possiamo osservare che esso può dirsi “polarizzato” nei seguenti orientamenti di massima (di massima, poiché, data la grande frammentarietà delle posizioni specifiche, di certo e univoco, a oggi, c’è solo il “trend” negativo per le aziende).

Sul primo versante, chiaramente, troviamo la “grinta” dell’Inps che tende a recuperare qualunque somma goduta a titolo di agevolazione dall’azienda (es. esoneri per assunzione di personale; differenze sulle riduzioni contributive in edilizia; eccetera), a fronte di qualsiasi ritenuta “difformità”.

Quindi, anche nel caso in cui si ritenga che il Durc, pure presente e regolare in passato, non lo si sarebbe, però, dovuto concedere (es. per omissioni contributive scoperte solo in seguito; in ipotesi di irregolari formalità nelle denunce; per ritenuto mancato rispetto del Ccnl; ma pure, per l’inottemperanza “generica” a condizioni di lavoro (“gli altri obblighi di legge”, ex art. 1, co. 1175, L.n. 296/2006)).

Insomma, per sintetizzare ulteriormente, al di fuori dello schema “Durc presente + successivo riscontro di corretti adempimenti contributivi = azienda in regola”, l’Inps tende a recuperare qualunque beneficio contributivo goduto, con aggravio di sanzioni. E, per di più, retroagendo anche di molti anni.

Su un altro versante, la maggiore giurisprudenza -specialmente di merito- si è attestata sulle medesime posizioni, avallando le pretese dell’Istituto. Per cui, pure in presenza di regolare Durc aziendale, a seguito della presunta scoperta da parte dell’Inps di irregolarità pregresse (es. utilizzo di lavoratori part-time come full-time), i giudici tendono comunque a confermare il recupero di agevolazioni contributive godute dall’azienda per “irregolarità” del “sistema” (quindi, restando all’esempio, anche a prescindere dalla circostanza che le agevolazioni riguardassero altri lavoratori, anziché i “part-time” ritenuti irregolari).

Il maggioritario orientamento tranchant troverebbe un conforto apparente nell’art. 1, co. 1175, L.n. 296/2006, in effetti da leggere con maggiore attenzione e da coordinare necessariamente con la specifica regolamentazione in materia (D.M. 30 gennaio 2015).

Una terza prospettiva più garantistica viene ora rappresentata dall’interessante evoluzione, per così dire, “formalistica”, consolidatasi in quella giurisprudenza e prassi che afferma come -fermi i recuperi della contribuzione dovuta- il godimento del Durc concesso a suo tempo, non possa intaccare il godimento di benefici ed esoneri contributivi.

In tale senso si è già espressa la Corte d’Appello di Milano (cfr. sentenza n. 1116/2018: “L’intento del Legislatore risulta del tutto chiaro nel subordinare la fruizione dei benefici contributivi al possesso del Durc, senza esclusione alcuna… In tal senso questa Corte si è già pronunciata, affermando … che il beneficio oggetto di causa debba considerarsi quale “agevolazione contributiva subordinata al regolare rilascio del Durc, come previsto dall’articolo 1 comma 1175 della Legge n. 296/2006”, norma “di portata generale (…) che non distingue alcun sotto categoria o eccezione (…) e neppure dispone esoneri”) e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (cfr. circolare n. 3/2017).

Si tratta di una “corrente” di indubbio favore -rispetto alla sistematica deprivazione di garanzie operata dall’amministrazione-, ma ancora non pienamente “in bolla” con la specifica normativa della materia.

Infine, di recente, si sta facendo strada una quarta direttrice giurisprudenziale, che possiamo definire “sostanzialistica”. Non tanto perché si contrappone alla precedente “corrente” “formalistica”, bensì per una più attenta adesione alla previsione normativa.

La quale è, appunto, centrata sul rispetto effettivo (ossia, sostanziale) della contribuzione da parte dei datori di lavoro.

Di essa fa parte la recente sentenza milanese in discorso.

La vicenda che era chiamata a dirimere concerneva un’azienda a cui veniva richiesta contribuzione per migliaia di euro, a fronte di un debito Inail di un paio di centinaia di euro per l’autoliquidazione 2016/2017.

A fronte della richiesta di quest’ultimo Istituto, l’azienda provvedeva immediatamente a sanare la dimenticanza (ché in effetti di ciò si trattava). Malgrado ciò, non solo l’Inps non concedeva il Durc, ma recuperava pure le agevolazioni godute per un lavoratore, con effetto retroattivo.

Giudice del lavoro di Milano

Così la sentenza n. 1762/2019

Pare convincente l’osservazione che il Durc negativo possa essere rilasciato solo a fronte di irregolarità sostanziali, inerenti gli obblighi contributivi, non potendo il rifiuto inerire semplici errori commessi nelle denunce contributive -come previsto dal D.M. del 30 gennaio 2015- piuttosto che irregolarità di entità pressoché irrilevante e prontamente sanate.

Ed ancora, suscita indubbia perplessità l’applicazione retroattiva della decadenza dei benefici contributivi richiedendo il pagamento delle differenze contributive per il lasso temporale considerato del 2017, benché l’irregolarità si riferisca ad un importo Inail di _ 210,49 relativo ad una rata di “Autoliquidazione 2016/2017” –peraltro non di facile determinazione temporale– immediatamente sanato.

Con la circolare n. 3/2017, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito alcuni rilevanti chiarimenti

proprio in merito alla fruizione dei benefici normativi e contributivi di cui trattasi. In tale nota viene ribadito che l’assenza del Durc, in linea generale, determina il mancato godimento dei benefici di cui gode l’intera compagine aziendale, ma solo per il relativo periodo, così come peraltro già chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la risposta ad interpello n. 33/2013, secondo la quale “una volta esaurito il periodo di non rilascio del Durc l’impresa potrà evidentemente tornare a godere di benefici “normativi e contributivi”, ivi compresi quei benefici di cui è ancora possibile usufruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali”.

Ciò comporta che l’accertata assenza del Durc determini il venir meno dei benefici de quibus limitatamente al relativo periodo di assenza dello stesso senza, quindi, legittimare un’efficacia retroattiva per i periodi connotati invece da regolarità contributiva.

La pronuncia del Giudice del Lavoro di Roma, n. 1490/2019, che qui si richiama, rammenta che l’art. 3 co. 3 del D.M. del 2015 va letto nel senso che Inps può rilevare, in sede di rilascio del Durc, solo inadempienze che abbia già formalmente accertato e comunicato, senza che il contribuente abbia tempestivamente reagito con i prescritti rimedi amministrativi e giurisdizionali.

Una diversa interpretazione del sistema integrerebbe un aggiramento del principio espresso dallo stesso D.M. e cioè che il Durc non può essere negato nemmeno per un’inadempienza contributiva sostanziale se questa è controversa in sede di contenzioso amministrativo o giudiziario.

Il carattere innovativo della decisione in evidenza risiede soprattutto nell’affermazione -ineludibile, ma, di fatto, “rivoluzionaria” nella congerie attuale- per cui il Giudice del lavoro ribadisce come sia “convincente l’osservazione che il Durc negativo possa essere rilasciato solo a fronte di irregolarità sostanziali”.

Ma ancora più “innovativa” risulta la pronuncia, laddove conferma l’intenzione di uniformarsi alla nota sentenza del Giudice del lavoro di Roma -la n. 1490/2019-, sostenendo che l’art. 3, D.M. 30.1.2015 va letto nel senso che Inps può rilevare, in sede di rilascio del Durc, solo inadempienze che abbia già formalmente accertato e comunicato, senza che il contribuente abbia tempestivamente reagito con i prescritti rimedi amministrativi e giurisdizionali.

O, chiaramente, sanando.

Come dice il Giudice del lavoro milanese: “una diversa interpretazione del sistema integrerebbe un aggiramento del principio espresso dallo stesso D.M.”.

In definitiva, quali sono i “presupposti” per cui si può ritenere di godere legittimamente di agevolazioni e benefici senza che, se non illegittimamente, si possa fare luogo al recupero di contribuzione?

Un po’ alla volta, con molta difficoltà e reticenza, sta affiorando anche dalle pronunce giudiziali che:

1) chi ha goduto di benefici e agevolazioni in costanza di Durc, ne ha fruito sempre bene;

2) chi non era in costanza di Durc (per es. poiché non richiesto), ma si trovava in una situazione di sostanziale e provata regolarità contributiva, non può essere deprivato delle dette agevolazioni; 3) va equiparata alla regolarità formale e sostanziale, la pendenza di contenziosi al riguardo con l’amministrazione, nonché le altre condizioni ex art. 3, co. 3, D.M. 30.1.2015.

“Accapigliarsi”, come fatto fino a oggi, non serve, insomma.

Un’attenta e completa lettura dell’art. 8, D.M. 30.1.2015 (“Cause ostative alla regolarità”), sarebbe bastata a rivelare quanto, con fatica, si sta giungendo ad apprendere oggi.

Infatti, per tale disposizione, sono ritenute “ostative alla regolarità, ai sensi dell’art. 1, co. 1175, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296” (quindi, anche del godimento di benefici contributivi) le “violazioni di natura previdenziale” (omessi versamenti, eccetera) e “in materia di tutela delle condizioni di lavoro individuate nell’allegato A” (infortuni sul lavoro, lavoro sommerso, eccetera) “accertate con provvedimenti amministrativi o giurisdizionali definitivi”.

“Tradotto”, significa che, prima di procedere a qualunque forma di conculcazione di agevolazione, occorrerà per l’Inps procurarsi il detto “provvedimento” (es. con sentenza passata in giudicato) attestante l’“infrazione” supposta.

All’Istituto non può, quindi, bastare di “pretendere” e “chiedere” di restituire quanto goduto, ma dovrà prima (e non poi, come finora) assicurarsi il titolo di tale “definitività” giuridica.

Tutt’altra garanzia rispetto alla pretesa di agire a prescindere, come fino a oggi.

di Mauro Parisi

 

[Sintesi n. 11/2019]