Ispezioni del lavoro e fallimento
Anche alla luce della novità apportata dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, diventa utile una sintetica disamina dei rapporti tra controlli ispettivi e liquidazioni giudiziali
Il tema delle liquidazioni giudiziali sarà presto uno dei principali leit-motiv per le imprese. Ma non saranno solo le aziende che, bene o male, vi dovranno fare (almeno potenzialmente) i conti. Le novità normative del Decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019 (il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza-Ccii), che entrerà in vigore nella sua totalità solo il 15 agosto del prossimo anno, costituiranno altresì un significativo banco di prova delle competenze dei professionisti. Sotto svariati aspetti.
Tra i profili di particolare interesse –attuale e futuro- della materia del fallimento, va senz’altro annoverata la sua speciale “declinazione” attinente al rapporto tra l’azione ispettiva del lavoro -e i suoi esiti- e il sopravvenire di procedure di liquidazione giudiziale.
Proviamo allora a fornire un sintetico quadro delle casistiche e possibili “interazioni” ispettori/fallimento, secondo le diverse ipotesi che potrebbero profilarsi nella realtà.
1. FALLIMENTO NEL CORSO DEL CONTROLLO ISPETTIVO
A seguito del fallimento gli ispettori ritengono che emergano responsabilità per illeciti amministrativi dei precedenti amministratori della società fallita. Inoltre, sussistono provate evasioni di contributi e premi.
Va innanzitutto osservato che il controllo ispettivo, malgrado la circostanza della dichiarazione del fallimento, può senz’altro proseguire e terminare, non sussistendo per ciò alcun vincolo o limite di procedibilità.
Infatti, le questioni relative ai crediti Inps e Inail non sono soggette alla giurisdizione speciale tributaria e non soggiacciono al disposto dell’art. 88, D.P.R. n. 602/1973 –che disciplina l’ammissione con riserva dei crediti erariali contestati-, ma a quella del giudice ordinario. Gli stessi possono, quindi, essere liberamente esaminati nel merito dal curatore fallimentare nominato, il quale non è tenuto a impugnare dinanzi al giudice del lavoro l’atto impositivo notificatogli prima della verificazione del passivo. Egli “può svolgere in sede di verifica dei crediti ogni eccezione (…) in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale, e correlativamente ben può contestare come insufficiente, ai fini della prova e della consistenza del credito, la documentazione prodotta” (cfr. Tribunale di Milano, 15 gennaio 2014). In definitiva, il verbale ispettivo non basta a vantare un credito.
2. FALLIMENTO AL TERMINE DEL CONTROLLO ISPETTIVO
L’articolo 15 Ccii individua, tra i creditori pubblici qualificati tenuti alla comunicazione ai debitori, all’Ocri (organismo di composizione della crisi d’impresa, costituito presso ciascuna camera di commercio con il compito di ricevere le segnalazioni e gestire il procedimento di allerta e assistenza all’imprenditore) e agli organi sociali di controllo, anche l’Inps.
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L’obbligo di segnalazione decorrerà dal 15 agosto 2020 e l’Istituto nazionale della previdenza sociale dovrà rispettarlo quando il debitore è in ritardo di oltre sei mesi nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell’anno precedente e superiore alla soglia di € 50.000.
In caso di inottemperanza all’obbligo di segnalazione, si configurerà l’inefficacia del titolo di prelazione spettante ai crediti dei quali l’Istituto previdenziale è titolare.
3. ISPEZIONE NEI CONFRONTI DI UN SOGGETTO GIÀ FALLITO
Può poi ricorrere il caso che la stessa attività degli ispettori inizi e prosegua nei riguardi di un soggetto già oggetto di dichiarazione di fallimento. Quanto alle responsabilità personali in riferimento all’impiego di lavoratori, esse possono riguardare sia – prima del fallimento – gli amministratori decaduti, sia – successivamente al fallimento – lo stesso curatore che continui a esercitare l’attività dell’impresa.
Nel caso in cui vengano riscontrati importi, a titolo di contributi o premi, omessi prima dell’apertura del fallimento, si seguirà l’ordinario iter di ammissione al passivo con presentazione dell’istanza al giudice delegato, per la verifica endofallimentare dei crediti, o tramite concessionario, o direttamente (in quanto l’Istituto conserva la titolarità del credito previdenziale azionato e può, quindi, agire dinanzi al giudice fallimentare).
Molto spesso le ispezioni posteriori rispetto alla dichiarazione di fallimento hanno ad oggetto l’obbligo di versamento del Tfr al Fondo di Tesoreria Inps, il quale ha rappresentato un’incredibile complicazione nella gestione, da parte dei datori di lavoro di medie – grandi dimensioni, dell’indennità di cui all’art. 2120 c.c..
L’Inps, con il messaggio n. 15687 del 08.07.2009, avente ad oggetto “Erogazione diretta a carico del Fondo di Tesoreria – Accertamenti in casi di fallimento”, ha evidenziato che, nel caso di insolvenza del datore di lavoro per fallimento, si può verificare la situazione di mancanza di flussi Emens che richiederanno l’intervento dell’organo ispettivo.
La mancanza dei dati, infatti, non permette la quantificazione del credito: pertanto, l’o l’operatore del recupero crediti trasmetterà all’Ufficio di Vigilanza ispettiva la richiesta di ispezione presso l’azienda fallita.
L’applicazione dell’automaticità delle prestazioni sarà subordinata all’emissione del verbale ispettivo e alla trasmissione del modello DM10V, compilato dall’ispettore, per l’inserimento nella procedura recupero crediti e successivo infasamento per l’insinuazione nel passivo fallimentare.
4. ISPEZIONE SUCCESSIVA ALLA CHIUSURA DEL FALLIMENTO
Un’ulteriore ipotesi è quella che concerne l’inizio dell’azione ispettiva, o quantomeno la sua definizione, in un momento successivo alla chiusura del fallimento.
Mentre non si scorgono difficoltà quanto all’indagine e alla contestazione in ordine a responsabilità personali di ex amministratori e trasgressori – purché nei limiti dei termini di prescrizione – , quanto al recupero di eventuali crediti per contributi e premi, la situazione appare indubbiamente più complessa.
Va però in primo luogo osservato come l’ipotesi de qua appaia improbabile, vista la durata media di una procedura fallimentare in Italia.
Nel caso di mancata prosecuzione dell’attività d’impresa tramite esercizio provvisorio ex art. 104 L.f., i crediti previdenziali anteriori alla dichiarazione di insolvenza vanno accertati esclusivamente in sede di verifica dello stato passivo.
L’Istituto previdenziale, se non ha prodotto domanda tempestiva di ammissione del credito, può, sulla scorta di quanto disposto dall’art. 101 L.f., proporre domanda tardiva di ammissione al passivo oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività.
Il quarto comma dell’art. 101, cit., tuttavia, tratta delle domande super-tardive, ossia quelle presentate dopo la scadenza dell’anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Per l’ammissibilità di queste domande, il creditore deve fornire la prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.
In caso di chiusura del fallimento per ripartizione finale dell’attivo, eventuali pretese creditorie ulteriori dell’Istituto rimarranno definitivamente insoddisfatte.
5. ISPEZIONE E CESSAZIONE SENZA FALLIMENTO
Un’ipotesi che ricorre nella realtà è anche quella di controlli ispettivi che riscontrano omissioni e infrazioni, le quali vengono contestate regolarmente a soggetti che, successivamente, “scompaiono”.
È, per esempio, il caso di società poste in liquidazione, che vengono in seguito cancellate, ma senza apertura di fallimento.
Come è noto, ai sensi dell’art. 10 L. f. “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’ insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”.
Dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, i creditori sociali non soddisfatti, tra cui eventualmente anche l’Inps, possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (art. 2495 c.c.).
Certamente maggiormente tutelata è la posizione del lavoratore che può contare anche nel caso de quo sull’intervento del Fondo di Garanzia Inps.
Con una recente pronuncia (ordinanza n. 27467/2017 del 20.11.2017), la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito che anche quando un lavoratore che non abbia ricevuto il pagamento del Tfr si imbatta nella “sorpresa” che la società sua ex datrice di lavoro sia stata chiusa e già cancellata da più di un anno, lo stesso lavoratore, a determinate condizioni, non perde la possibilità di ottenere il pagamento di tale suo credito.
Con tale pronuncia, la Corte ha inteso dare continuità all’orientamento, espresso in una propria precedente sentenza (n. 17227/2010), secondo il quale “ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982, in favore del lavoratore, per il pagamento del Tfr in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo se è assoggettabile a fallimento ma in concreto non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va considerato “non soggetto al fallimento”, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione”.
CONCLUSIONI
In definitiva, come emerge anche con riferimento a dinamiche connesse a controlli ispettivi, il panorama delle situazioni “fallimentari” ipotizzabili e delle discipline applicabili risulta estremamente variegato e tale da richiedere, specialmente al professionista, una conoscenza puntuale e approfondita delle soluzioni, normative e pratiche.
Una conoscenza e perizia che dovrà essere ancora maggiore, a breve, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, soprattutto nella fase antecedente al (anche solo potenziale) fallimento, con particolare riguardo alle fasi di “allerta”.
Con assistenza e pareri professionali mirati, tuttavia, si potranno anche cambiare le sorti delle imprese.
di Mauro Parisi e Giovanni Greco |
[Sintesi n. 4/2019]