Se l’ispezione del lavoro ci sembra abnorme, ci pensa la Costituzione.
Addirittura la Costituzione!
Sempre più spesso capita di sentire lamentele sull’ingestibile e, talvolta trabordante, potere dei funzionari che si occupano di lavoro e degli uffici a cui appartengono.
Ma è possibile che in azienda –e all’azienda- essi possano fare di tutto?
Beh, magari proprio “di tutto”, non capita così spesso. Piuttosto, e sovente, accade che lo spirito di chi riceve il controllo (non gradendolo) sia esacerbato e che percepisca al peggio ciò che sta avvenendo.
E’ però un dato di fatto che in molti casi non si comprenda affatto come e perché siano stati assunti i provvedimenti da parte degli ispettori.
Spesso non si tratta solo di un problema di preparazione e di conoscenza della materia. Questo non comprendere suona talvolta come un vero e proprio “campanello di allarme”. E’ di un “sintomo”, insomma.
E’ chiaro a tutti che l’ispettore –come qualsiasi soggetto che usa di poteri pubblici- non può essere legibus solutus. Ossia, libero da vincoli di legge. Anzi.
La norma costituisce l’argine necessario entro cui si deve contenere necessariamente l’azione di chi accede, verifica e assume provvedimenti in ambito ispettivo.
Di più. In uno stato di diritto non dovrebbero esistere azioni “comprimenti” che non fosse oggetto di puntuale previsione di legge. Senza una legge apposita, in definitiva, si espandano e veleggiano la libertà del cittadino.
Eppure –e qui sta il punto-, c’è quel “campanello d’allarme”.
Spesso ci si interroga del perché i funzionari abbiano ragionato in un certo modo, procedendo a prendere provvedimenti così singolari (e, magari, nefasti) per l’azienda.
Si leggono e rileggono i verbali, e ancora non si comprende un granché. Ci si impunta, si ci informa, si studia: ma nulla.
La cosa non è normale, sia inteso. A prescindere dal livello di preparazione di chi si pone al cospetto di un provvedimento ispettivo, l’effetto dei più recenti interventi normativi (si dica, per esempio, del collegato lavoro L. 183/2010) è nel senso di rendere evidente e immediato a chiunque quali sono i fondamenti dell’ispezione e dei provvedimenti assunti.
Nel verbale ispettivo, cioè, si dovrebbero sempre trovare chiaramente descritte, tanto le “prove”, quanto le “fonti” normative sulla cui base si agisce.
Tanto per capirsi, gli ispettori dovrebbero sempre descrivere nei loro verbali qualcosa tipo: abbiamo trovato tre persone che lavoravano; abbiamo visto i contratti; abbiano visto che tra ciò che le persone dichiarano e ciò che era previsto negli atti sussiste una discrepanza, per cui… .
Quel “per cui” (ovvero il motivo e il contenuto dei provvedimenti che vengono assunti) non è, però, cosa che possa essere lasciata al caso o alla volubile fantasia di chi agisce.
Ed ecco allora spiegati i “campanelli”. O è chiaro a chi riceve il verbale ciò di cui si sta parlando; o c’è qualcosa che non va.
E se “non va”, se la cosa non si comprende, se ci pare frutto di fantasia, il 90% delle volte è perché neppure esiste una legge che prevede e punisce il caso.
E’, insomma, la classica circostanza in cui può dirsi violato il principio di legalità. Niente legge precisa e puntuale, niente punizioni.
Si tratta in realtà di osservazioni banali, ma disattese in modo assolutamente endemico.
Eppure, al riguardo, i limiti stabiliti dalla Costituzione sono chiarissimi. E insuperabili.
Due, in particolare, sono le previsioni costituzionali che giocano un ruolo sul punto.
L’articolo 14, comma 2, per cui “gli accertamenti e le ispezioni …a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”. E la previsione dell’articolo 23, per cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Come dire che i funzionari ispettivi sono tenuti ad agire nei modi imposti dalla legge (oppure, a non poterlo fare tout court); e che obblighi di fare e richieste economiche (di qualunque natura) non possono essere pretesi, se ciò non è stabilito da una norma in modo espresso.
E se lo dice pure la nostra Costituzione…

di Mauro Parisi

[The World of Il Consulente n. 52 del 20.01.2014]