Nuovo orientamento

Stop agli automatismi nelle contestazioni per lavoro nero. Oggi conta la volontà effettiva di non occultare il rapporto di lavoro. Tra professionisti e aziende pare non essersi dato il giusto risalto all’abiura ministeriale del noto principio «è dato per accertato», prevista dalla circolare 38 del 2010 del ministero del lavoro, in riferimento al requisito della subordinazione dei rapporti di lavoro non comunicati preventivamente. Fino alla nota del 9 ottobre 2014, prot. n. 37/0016920/MA007.A001 (si veda ItaliaOggi del 23 ottobre), infatti, in difetto della comunicazione telematica di assunzione, agli ispettori era di fatto prescritto di «irrogare la maxisanzione» indefettibilmente. Così, nella prassi, per anni, i funzionari hanno «trasformato» pressoché ogni omissione della comunicazione in contestazione di lavoro sommerso.

Oggi, però, complice verosimilmente un mutato clima di «attenzione», pure ingenerato dalla gravosità delle attuali sanzioni amministrative (da poco modificate in peius: anche cinque minuti di lavoro nero costano circa 4 mila), grazie alla predetta nota del lavoro, la musica sembra decisamente cambiare. Niente maxisanzione per lavoro nero, perciò, se si hanno, comunque, prove documentali di data certa dei rapporti di lavoro e della loro notorietà pubblica. Sebbene per il momento il ministero si sia limitato a riferirsi al lavoro autonomo, non può certo sfuggire il significato sistematico e innovativo della nuova presa di posizione. Di fatto si azzerano anni di discussioni sull’effetto scriminante o meno (quest’ultima posizione sposata usualmente dagli organi ispettivi) che può offrire la documentazione prodotta dall’azienda, fiscale, come nel caso richiamato dalla circolare, ma pure di carattere differente (il ministero parla di «altri elementi significativi» al fine di poter escludere la volontà di occultare il rapporto alla p.a.), per confermare il carattere e l’evidenza pubblica (in sostanza, la sommersione o meno) delle relazioni di lavoro considerate dagli ispettori.

Il revirement ministeriale non può non produrre effetti immediati, oltre che quanto riguardo il lavoro autonomo, pure per le posizioni e le attività «sommerse» di collaborazioni familiari, lavoratori accessori e altre figure di lavoratori non subordinati. Per cui, in effetti, la legge non ha previsto alcuna comunicazione in senso tecnico (non lo è neppure quella eseguita per prassi all’Inps per i lavoratori accessori) al tempo dell’inizio del rapporto. Un bel «problema» agli occhi sospettosi degli ispettori. Situazioni e circostanze invero piuttosto «pericolose», dato che l’odierna nozione di lavoro nero, per definizione solo quello subordinato, presupporrebbe tecnicamente un solo riscontro: la provata carenza della predetta comunicazione preventiva. Mancando quello, comunque fosse, la contestazione degli ispettori sono quasi sempre seguite di default.

In definitiva, per aziende e datori di lavoro, finora, il problema è sorto dalla praticata e consolidata inversione dell’onere probatorio e dall’automatico riconoscimento, quali subordinati, di coloro che si fossero trovati a lavorare in difetto di comunicazione preventiva. Tanto è quasi sempre bastato per meritarsi una maxisanzione. Per tutti, indifferentemente e a prescindere dalla tipologia effettiva di rapporto e di attività di lavoro, è sempre scattata la contestazione di lavoro irregolare. Bene fa perciò ora il Ministero a richiamare il proprio personale a svolgere un’attenta indagine per qualificare l’attività lavorativa considerata come effettiva (e non presunta) prestazione di lavoro subordinato. Necessario step verso una legittima contestazione di lavoro irregolare, purché, beninteso, come afferma la nota ministeriale del 9 ottobre, non ricorrano «altri elementi significativi» dell’evidenza e notorietà pubblica dei rapporti di lavoro indagati.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 285 del 02.12.2014]