Per le irregolarità relative al Libro unico del lavoro, sanzioni amministrative più leggere con il Jobs act. Soprattutto, finisce l’epoca delle «mensilizzazioni» (ossia la moltiplicazione mese per mese delle sanzioni, anziché quella una tantum e globale) delle contestazioni amministrative per omesse o infedeli registrazioni, che faceva lievitare anche a decine di migliaia di euro le somme dovute dalle aziende. Diventano inoltre non più punibili gli inevitabili inadempimenti relativi al Libro Unico nel caso di lavoro sommerso.

Infatti, con l’art. 22 del decreto attuativo del Jobs act, il n. 151 del 2015, trova nuova disciplina il regime delle reazioni amministrative per i casi di non corretta tenuta del Libro unico aziendale. A iniziare dalla precisazione di non punibilità dell’errore meramente materiale relativo alla tenuta del Libro unico. Come in passato, continuano invece a venire punite tutte le omissioni o infedeli registrazioni che comportano differenti trattamenti retributivi previdenziali e fiscali. Per esempio, si pensi al caso del lavoratore part-time, formalizzato e registrato come tale sul Libro Unico, che si scopre svolgere regolarmente lavoro a tempo pieno. Un’irregolarità nelle registrazioni da cui sorgono «evasioni» da reprimere, a iniziare dalle omissioni contributive. Prima del 24 settembre 2015, una situazione come la predetta veniva punita senza difficoltà moltiplicando la sanzione per l’infrazione della registrazione per il numero di mesi in cui era stato dissimulato l’effettivo lavoro full time. In tali casi, malgrado nessuna previsione del decreto legge 112/2008, come convertito dalla legge n. 133/2008, stabilisse la «mensilizzazione» della misura sanzionatorio, le amministrazioni del lavoro e gli suoi ispettori si sono sempre «adeguati», anche in via ufficiale (cfr. la circolare 23/2011 del ministero del lavoro), alla maggiore e moltiplicata sanzione amministrativa. Con effetti, in molti casi, devastanti. Si pensi al caso di alcune aziende i cui inadempimenti contributivi negli anni, hanno condotto a una quantificazione di sanzione amministrativa, a cagione del Libro unico, in misura non inferiore a 35.000-40.000 euro (ora, al peggio, ci si aggirerà sui 2 mila euro). Eppure, da nessuna parte tale effetto moltiplicatore risultava espressamente previsto (e quindi, per noto principio di legalità, cfr art. 1, L. 689/1981, neppure dovuto). A riprova che la volontà legislativa fosse in passato più benigna di quanto ritenuto dai funzionari, lo dimostra oggi, a contrario, proprio l’espressa previsione di un criterio punitivo misto e a «scaglioni», parametrato al numero dei mesi e dei lavoratori interessati all’illecito. In definitiva, con il Jobs act si viene ora a realizzare una vera e propria interpretazione autentica delle precedenti previsioni legislative. Grazie a cui, quanti ancora hanno in piedi vertenze sul punto con l’amministrazione, potranno trovare validi motivi di difesa. Come precisa anche la Circolare 26/2015 del ministero del lavoro, molto opportunamente viene allora prevista la sanzione amministrativa da 150 a 1500, se l’omessa o infedele registrazione si riferisce a meno di cinque lavoratori o, in via alternativa, a meno di sei mesi. Quindi, tale è la sanzione se, per esempio, si sono male registrati quattro lavoratori per un mese; oppure, un lavoratore per cinque mesi. Oltre tale misura, scatta lo scaglione da 500 a 3 mila euro. Se invece l’infrazione si riferisce a più di 10 lavoratori o a un periodo superiore ai 12 mesi, la sanzione amministrativa sarà prevista tra i 1.000 e i 6 mila euro (ossia il caso, per esempio, di 12 lavoratori impiegati per un mese; oppure di tre lavoratori per 18 mesi).

Il dlgs 151/2015 prevede anche che non troveranno applicazione le sanzioni predette, previste dall’art. 37, comma 7, dl 112/2008, in caso di irrogazione delle cd. maxisanzioni per il lavoro irregolare.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 286 del 02.12.2015]