Il consueto criterio di cassa a mese utilizzato dall’Inps viene smentito dal Giudice del lavoro di Milano con la sentenza n. 1306/2020.

Una volta che gli Istituti di previdenza verifichino l’esistenza di evasioni contributive, è giusto che chi ha omesso versi loro la contribuzione non versata.
La contribuzione pretesa, però -non pare neppure da doversi dire-, non può essere rappresentata da un importo individuato “a caso”, ma dalla somma esattamente dovuta, che invece il contribuente ha deciso di evadere.
Sul principio di giustizia, e le sue ricadute, nessuno discute.
Tuttavia, se non è in discussione il principio di massima, sembra che ancora molti dubbi sussistano su come vadano in effetti individuati gli importi che “mancano” all’Inps.
L’accertamento degli ispettori in ordine all’effettivo rispetto, da parte del datore di lavoro, dei minimali previsto dall’art. 1, D.l. n. 338/1989, convertito con L. n. 389/1989 (“La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”), si muove quasi sempre con le medesime modalità.
Si controllano i prospetti di paga dei dipendenti.
Si pone attenzione a quali siano le “voci” indicate in busta paga in riferimento agli emolumenti corrisposti. Si opera il confronto con quanto era previsto dal Ccnl. Si valuta addirittura se il Ccnl applicato sia quello più confacente.
Quindi, se emerge l’evidenza estrinseca che quanto corrisposto al lavoratore non è sufficiente, oppure che qualche voce stabilita dal Ccnl non è stata retribuita correttamente (o affatto) -insomma, se esiste qualunque forma di omissione-, gli ispettori calcolano l’imponibile omesso e operano i recuperi della relativa contribuzione.
Sono sempre corretti i calcoli operati? Va verificato, di caso in caso: ma i motivi di difficoltà di un conteggio esatto non mancano.
Per esempio, in ordine alla “cadenza” temporale di detto rispetto.
Va notato che il calcolo viene eseguito dall’Inps, ordinariamente, a mese, secondo il periodo “di cassa” di quanto dovuto all’Istituto, conformato alle tempistiche previste per le denunce periodiche e i versamenti contributivi.
Se tale riferimento di conteggio appare senza dubbio “comodo” (permettendo, soprattutto, una facile verifica incrociata con le registrazioni desumibili dal libro unico del lavoro e le denunce trasmesse), si può dubitare che sia anche valido. In tale senso, infatti, non è dato rinvenirsi alcun puntuale riscontro di legge.

Sul punto si è di recente espresso in modo puntale e motivato il Giudice del lavoro di Milano, con la sentenza del 23.09.2020 n. 1306. Diversamente dalla consuetudine ispettiva, la pronuncia ha individuato nell’anno solare il periodo di riferimento per operare i corretti conteggi in ordine al rispetto della contribuzione dovuta.

MINIMALE E CONTEGGIO AD ANNO

Così la sentenza Tribunale di Milano, n. 1306/2020

In merito al periodo retributivo cui occorre avere riguardo, ritiene questo Giudice che la valutazione debba essere fatta in ragione d’anno. Non vi è in primo luogo alcuna norma che imponga un calcolo mensile e non complessivo ad anno solare, mentre depongono per il detto effetto i richiami operati dall’art. 12 della L. n. 153 del 1969 e dal D.lgs n. 314 dal 1997 al D.P.R. n. 917 del 1986 ai fini dell’armonizzazione tra retribuzione imponibile ai fini fiscali e ai fini previdenziali.
Come stabilito dall’ art. 51 del Testo unico imposte dirette, il riferimento temporale per quanto attiene al reddito utile ai fini contributivi è quindi il cosiddetto periodo di imposta, ovvero l’anno, così come è all’anno il riferimento per il calcolo della pensione (v. ad es. l’art. 5 del D.P.R. n. 488 del 1968).
Si tratta di un cambio di prospettiva del tutto radicale, che provoca effetti fondamentali quanto alla stessa metodologia ispettiva e alle modalità delle difese che possono essere portate.
Innanzitutto, poiché da un punto di vista giuridico, la sentenza afferma inesistente il consueto criterio mensile seguito, non risultando rinvenibili previsioni positive in tal senso nel nostro ordinamento (“Pertanto, contrariamente a quanto operato dagli ispettori procedenti, anche il periodo di riferimento da assumere per valutare il rispetto (o meno) del minimale contributivo dev’essere rapportato alla retribuzione annua, e ciò a prescindere dalle cadenze temporali previste per le denunce periodiche e i versamenti contributivi”).
Ma, soprattutto, la “rivoluzione copernicana” portata dalla decisione milanese si apprezza sotto il profilo delle ricadute pratiche dell’enunciato criterio ad anno.
Prendendo quale esempio il caso di un imponibile minimo da Ccnl pari a € 1000, e immaginando -con estrema semplificazione e non tenendo conto della retribuzione differita- che al lavoratore venissero versati a mesi alterni € 500 e € 1500, secondo il “classico” criterio a mese dell’Inps avremmo un recupero di € 500 a mesi alterni (per € 3000 nell’anno). Al contrario, a mente del sistema ad anno, nell’ipotesi, non avremmo alcun recupero da effettuare, atteso che il minimale contributivo complessivo nell’anno solare sarebbe stato rispettato.
Del resto, il metodo “annuale” trova conferma pure nell’art. 51, Tuir (“Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono”).
Per cui, ogni riferimento al reddito del lavoratore, in base ai criteri di armonizzazione tra ambiti fiscali e contributivi, va correttamente operato in riferimento al “periodo d’imposta”, vale a dire con riguardo all’anno solare in considerazione.
Per cui, poco contano gli obblighi di denuncia che, senza contraddizione e difficoltà, possono e devono rimanere mensili.
A conferma della parametrazione ad anno, inoltre, va considerato che il criterio “di cassa”, assunto dall’Inps, e le sue limitazioni sono smentite dalla circostanza incontroversa che i rapporti debito-credito nei confronti dell’Istituto sono comunque compensabili, per consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. Cassazione, sentenza n. 5363/2004).

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 10/2020]

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