Tra le pieghe della normativa per la pandemia, scivola la riforma di due penetranti istituti ispettivi, quali la diffida accertativa e la disposizione.

Con un’estensione imprevedibile ed eccessiva di potestà di ordine e conformazione alla supposta “regolarità” dei rapporti di lavoro.

 

Il rafforzamento dei poteri del personale ispettivo è avvenuto quasi senza che nessuno se ne rendesse bene conto.

Per ragioni non del tutto chiare, ma secondo dinamiche non infrequenti, tra le novità dedicate dal Decreto Legge n. 76/2020 alle “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” (e, più in particolare, tra quelle attinenti a “Semplificazioni procedimentali e responsabilità”), in sede di conversione, con Legge n. 120/2020, è stata introdotta una nuova e più incisiva misura del già esistente potere di disposizione degli ispettori (art. 14, D.lgs. n. 124/2004) e un ampliamento significativo del potere di diffida accertativa attribuito ai funzionari (art. 12, D.lgs. n. 124/2004).

Tralasciando di dire della sorpresa per la sede di previsione e pure per il frangente in cui si è realizzata l’innovazione, va sottolineato come le disposizioni in discorso introducono un incisivo potenziamento della potestà pubblica degli ispettori, non bilanciato da reali garanzie difensive per quanti sono soggetti ai controlli. Se non a quanti hanno subito in prima persona una verifica ispettiva, non è generalmente noto fino a quale punto, per precetti normativi (assenti) e per prassi (in malam partem presso amministrazioni e sedi giudiziarie), negli anni si sia assistita a una costante erosione della reale possibilità di ottenere giustizia anche a fronte di controlli approssimativi o addirittura evanescenti.

I nuovi istituti dell’ispezione -che non paiono trovare esigenza specifica nell’attuale congerie storica-, risultano acuire, anziché confortare, l’istanza di garanzia a favore di contribuenti e presunti trasgressori.

Il potere di disposizione degli ispettori (in precedenza poco più che un desueto invito, “nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale”) corrisponde adesso a quello di impartire un ordine di conformazione in riferimento a ogni forma di “irregolarità” rilevata in materia di lavoro e legislazione sociale, che non sia già prevista quale fattispecie illecita di carattere amministrativo o penale.

Così la nuova disposizione in materia di lavoro

Art. 14, D.lgs. n. 124/2004

  1. Il personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative.

  2. Contro la disposizione di cui al comma 1 è ammesso ricorso, entro quindici giorni, al direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro, il quale decide entro i successivi quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso non sospende l’esecutività della disposizione.

  3. La mancata ottemperanza alla disposizione di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro. Non trova applicazione la diffida di cui all’articolo 13, comma 2, del presente decreto.

In sostanza, volendo semplificare il riflesso tecnico-operativo dell’istituto, ogni ispettore potrà creare ad hoc il contenuto di un illecito in materia di lavoro da contestare all’impresa, come anche a ulteriori soggetti ritenuti legittimati.

La cosa, si deve riconoscere, è singolare e senz’altro molto pericolosa in termini di corrosione del diritto soggettivo del cittadino.

Fino a oggi, non senza difficoltà applicative nella pratica, si era ritenuto valido e insuperabile principio in materia, quello di legalità. La Costituzione, del resto, parla chiaro (art. 23, Cost.).

Eppure con il nuovo art. 14, D.lgs n. 124/2004, si è riusciti, d’un colpo solo, a superare l’art. 1, c.p. (“Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”) e l’art. 1, L. n. 689/1981 (“Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”).

In definitiva, al momento, qualunque forma di “difformità” dalla “regola” del singolo rapporto di lavoro (quindi, apparentemente, anche un’infrazione specifica del singolo contratto di lavoro), può essere oggetto di contestazione e sanzione. Per esempio, se l’ispettore ritiene di potere rilevare come dovuta una voce economica prevista dal Ccnl -ma anche da accordi territoriali e aziendali-, per cui non è previsto alcuno specifico precetto di legge, può ordinare al datore di lavoro la sua erogazione.

In difetto di adeguamento, scatterà la contestazione e la sanzione amministrativa (pari a non meno di € 1000 in caso di adeguamento spontaneo).

Una volta comunicata, la disposizione è immediatamente esecutiva: vale a dire che va ottemperata senz’altro e non può venire sospesa.

Neppure se viene proposto tempestivo ricorso amministrativo all’Ispettorato territoriale, chiamato a definirlo entro i 15 giorni.

Se non sopravviene la decisione espressa, il ricorso si intende comunque rigettato.

La circolare n. 5/2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha inteso giustificare la nuova disposizione, individuando un “raccordo sistematico”, con l’omonimo potere di disposizione di cui agli artt. 10 e 11, D.P.R. n. 520/1955, relativo alla materia della sicurezza sul lavoro.

Tuttavia, non può non essere osservato come nel caso del D.P.R. n. 520/1955 il potere dei funzionari conosce limiti funzionali specifici, potendo venire utilizzato sono per la “prevenzione infortuni” (ambito in cui si può riscontrare la necessità di offrire indicazioni concrete e peculiari al singolo caso) e nella fattispecie speciale in cui ciò sia necessario ai fini dell’“applicazione di norme obbligatorie per cui sia attribuito all’Ispettorato dalle singole leggi un apprezzamento discrezionale”.

Dunque, mentre la previsione circostanziata della disposizione ex D.P.R. n. 520/1955 appare contenersi entro limiti costituzionali accettabili, quella appena introdotta, no limits e omnibus, sembra eccepibile dal punto di vista della tenuta rispetto alla norma fondamentale, avendo lasciato a ogni singolo ispettore la definizione, caso per caso, del contenuto del precetto.

Giuridicamente meno problematica quanto all’inquadramento, ma non meno insidiosa da punto di vista pratico, è la novella in materia di “diffida accertativa per crediti patrimoniali”.

Come noto, la diffida accertativa corrisponde al potere di accertamento tecnico, da parte dell’ispettore, di eventuali crediti insoluti del lavoratore, di cui si ordina al datore di lavoro la corresponsione.

L’istituto già era previsto a mente dell’art. 12, D.lgs. n. 124/2004; ma ora ne vengono aumentate le potenzialità nei confronti di datori di lavoro e, novità, degli utilizzatori delle prestazioni di lavoro.

Così la nuova diffida accertativa

Art. 12, D.lgs. n. 124/2004

  1. Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. La diffida trova altresì applicazione nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenersi solidalmente responsabili dei crediti accertati.
  2. Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro.

In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo, del codice civile.

Entro il medesimo termine, in alternativa, il datore di lavoro può promuovere ricorso avverso il provvedimento di diffida al direttore dell’ufficio che ha adottato l’atto. Il ricorso, notificato anche al lavoratore, sospende l’esecutività della diffida ed è deciso nel termine di sessanta giorni dalla presentazione.

  1. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, oppure in caso di rigetto del ricorso, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista efficacia di titolo esecutivo.

La prima innovazione che salta all’occhio consiste nella previsione per cui, gli importi accertati con diffida, possono essere contestati anche “nei confronti dei soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro”.

Sapere chi siano tali soggetti “utilizzatori” sembra, però, operazione meno scontata di quanto non appaia. Senz’altro si tratterà degli utilizzatori nell’ambito di una somministrazione o di un appalto di manodopera illeciti (art. 18, D.lgs. n. 276/2003). Ma a tale fine occorrerà che, a latere, e con altro procedimento e verbale, si siano mosse preventivamente le necessarie contestazioni.

Al di fuori dell’ipotesi illecita, tuttavia, utilizzatori delle “prestazioni di lavoro” in senso sostanziale, se non i diretti datori di lavoro e quelli che accolgono missioni dalle agenzie per il lavoro, non ve ne parrebbero essere.

Eppure, per la Circolare n. 6/2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, “nell’ambito di un appalto o di una somministrazione di manodopera”, gli ispettori dovranno sempre notificare la diffida accertativa anche al committente, quale obbligato in solido (sembrerebbero, invece, esclusi i casi di solidarietà nel trasferimento d’azienda e nel cambio appalto).

Quella dell’INL rappresenta una lettura della previsione di non poco conto.

Infatti, da essa consegue che, magari per rapporti di lavoro e posizioni di cui neppure il committente conosce e può rendersi conto, nei confronti dell’obbligato in solido potrà sempre venire costituito un titolo esecutivo, azionabile senza difficoltà dal dipendente lavoratore del terzo.

Situazione ancora più rischiosa se si tiene conto che, in forza delle ulteriori novità all’art. 12, D.lgs. n. 124/2004, per pervenire alla costituzione del detto titolo esecutivo, è sufficiente, d’ora innanzi, l’azione immediata e “automatica” del solo ispettore (prima la diffida accertativa andava convalidata dal dirigente della sede territoriale).

Anche il ventaglio delle possibili tutele genera perplessità.

Infatti, adottata e notificata la diffida accertativa da parte del funzionario, le vie di difesa immediata non possono che essere due.

Tentare entro 30 giorni un accordo con il lavoratore. Oppure, in alternativa, nel medesimo termine, proporre un ricorso al Direttore dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, che deciderà entro i 60 giorni seguenti.

Il mancato accordo o il rigetto consolidano la diffida accertativa che diventa, automaticamente, titolo esecutivo.

Un titolo che, peraltro, potrà essere impugnato in sede giudiziale solo previa notifica dell’azione del lavoratore (es. precetto), non avendo altrimenti legittimazione all’azione i soggetti diffidati. Permarrà nel frattempo sugli obbligati la spada di Damocle delle incerte decisioni del creditore.

Per il committente, al rischio predetto, si aggiunge la circostanza che la legge non pare legittimarlo ad alcuna possibile azione e tentativo di conciliazione.

Apprezzabile appare, quindi, lo sforzo della circolare INL n. 6/2020, a dispetto della lettera della legge, di considerare legittimato a tanto anche l’obbligato in solido.

Non bastasse il minaccioso quadro dell’istituto che così si delinea, va sottolineato come dalla formulazione del nuovo istituto risulti emergere, altresì, un consistente rischio di doppio recupero patrimoniale. Infatti, come afferma anche l’INL nella predetta circolare, in caso di accordo conciliativo, la diffida accertativa perderebbe efficacia solo a favore della parte “conciliante”, mentre acquisterebbe quella di titolo esecutivo nei confronti dell’ulteriore obbligato.

Così, senza troppe difficoltà, specie in assenza di notizie incrociate di eventuali versamenti pervenuti altrimenti, il lavoratore potrebbe agire cumulando i benefici di differenti titoli esecutivi -per differenti importi- nei confronti di datori di lavoro e “utilizzatori”, facendo valere “doppiamente” il proprio credito.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 12/2020]