Dubbia la bontà dell’azione amministrativa dei Comitati Regionali.
Occorre forse una class action?

Il caso di cui si è appreso è di qualche giorno fa ed avvenuto in una delle belle Regioni del nostro paese.
La vicenda è (purtroppo) reale, per cui, quale sia tale Regione, non ha importanza.
Un’azienda si vede contestare alcuni illeciti amministrativi relativi a cinque suoi lavoratori. Dato il ritenuto difetto di tali posizioni, gli ispettori decidono pure di operare recuperi di contribuzione.

Ma l’azienda non ci sta e propone ricorso al Comitato Regionale per i rapporti di lavoro. Passa qualche tempo –quello previsto per legge- e, come sovente accade, all’azienda non giunge risposta alcuna. Ovviamente, come è a tutti noto, il “silenzio” equivale a rigetto dell’istanza: per cui il significato di un tale ritardo appare evidente.
Ma l’azienda decide che, tutto sommato, vale la pena fare un “esperimento”. Propone, quindi, richiesta formale di accesso
agli atti, quella che si fa ai sensi della legge 241/1990 (si prova a fare, in verità, venendo quasi sempre, inflessibilinflessibilmente, respinta) per ottenere un po’ di documentazione utile.

Lo “strumento” sembra “strano”, nel caso, ma il diritto a conoscere se vi è o meno una pronuncia a proprio carico è fuori di dubbio. E così, dopo qualche giorno, a quell’azienda il Direttore Regionale – Presidente del Comitato Regionale – scrive una sua nota con cui comunica che il ricorso è stato respinto in ragione di una pronuncia che risalirebbe a oltre un mese prima. Il Direttore Regionale riferisce che la posizione del lavoratore Y… è stata accertata in modo inequivocabile.
A questo punto l’azienda si domanda: va bene la posizione di Y…., ma cosa è stato deciso della posizione degli altri quattro lavoratori? Nulla, apparentemente. Almeno, la nota di quel Direttore Regionale non dice alcunché al riguardo. Ma perché accontentarsi della nota del Direttore Regionale? L’azienda vuole vedere la pronuncia stessa del Comitato Regionale.
Giusto. E così parte una seconda richiesta di accesso agli atti in cui si chiede la predetta decisione. Passa ancora qualche giorno e lo stesso Direttore Regionale comunica all’azienda che si sbaglia a richiedere un’ulteriore pronuncia del Comitato Regionale, poiché è la sua “nota” a costituire la “pronuncia” di quel Comitato Regionale.
A questo punto l’azienda non capisce: ma, soprattutto, non ci sta. Il Comitato è un organismo collegiale di almeno tre membri e occorre conoscere come in effetti si sono comportati tutti i membri, non solo uno di essi, quantunque “Presidente”. La “nota” direttoriale, quindi, non può costituire la “pronuncia”, ma, al massimo, una comunicazione della medesima. Ed ecco, perciò, giungere la terza richiesta di accesso agli atti: questa volta viene domandato il verbale della riunione del Comitato del giorno indicato dal Direttore Regionale come quello della delibera; inoltre, il ruolo in cui sarebbe stato iscritto il presentato ricorso, poi apparentemente trattato dal Comitato
Regionale. Ed è all’esito di questa istanza che giunge la maggiore sorpresa. Perviene, infatti, uno striminzito verbale di riunione – mezza paginetta, nessun protocollo- in cui a malapena si riportano i nominativi dei presenti; si dice che in quella giornata si tratteranno 17 ricorsi; per sapere quali siano i ricorsi in discorso occorrerà rifarsi a un foglio allegato che pure viene fornito; nulla si dice, ovviamente, di doglianze, di vizi, di eccezioni, di discussione tra i membri, ecc.
Ma è soprattutto l’allegato elenco dei ricorsi che riserva la maggiore sorpresa di tutte: scorrendo tra gli esiti dei vari risulta che tutti (TUTTI) sono stati rigettati. Inammissibilità, respingimento “semplice”, irricevibilità…ogni motivo è buono per mandare a tappeto ciascuna singola impugnazione. 100%. En plein. Premesso che ogni cosa può essere nella vita, ciò che però pare palesarsi è, una volta tanto, la conferma chiara di ciò che finora ci si è limitati solo a sospettare. Ossia, che i ricorsi di quel genere vengono tutti, sistematicamente, presso molte sedi, rigettati. In effetti non sembrerebbe statisticamente plausibile che neppure uno dei diciassette ricorsi proposti sia stato accolto, anche, se fosse, solo in parte.
Può darsi, pure, però, che quella giornata di riunione dei membri di quel Comitato sia stata infausta (ferma, comunque, la nullità della “nota” direttoriale a valere quale “pronuncia” del Comitato stesso).
Resta il fatto, tuttavia, che se si avessero evidenze di altre, diffuse, giornate “infauste”, oltre alle eventuali e personali responsabilità, si dovrebbe senz’altro ragionare in termini di “class action” da parte di tutti coloro (professionisti in testa) che, in questi anni, hanno confidato ed affidato alla bontà dell’azione amministrativa dei Comitati Regionali le sorti di importati vicende di lavoro.

di Mauro Parisi

[The World of Il Consulente n. 42/2013]