Rischi di azioni di risarcimento per le amministrazioni

Per le imprese che vantano crediti per forniture e servizi verso la pubblica amministrazione, e che ancora rimangono a mani vuote, dopo il danno, le beffe. Sono infatti molte le aziende che, non riuscendo a versare quanto dovuto per contributi all’Inps, proprio a causa di insoluti della pubblica amministrazione, anche in questo periodo si sono viste recapitare dall’Istituto avvisi di addebito (le nuove «cartelle esattoriali») con sanzioni per i mancati, o tardati, pagamenti dei contributi. E ciò, paradossalmente, pure vantando l’attestazione che ciò dipende a causa di somme non corrisposte enti pubblici, comuni in testa. I quali ora rischiano, in un’incredibile giostra, rivendicazioni giudiziarie da parte delle aziende «danneggiate» dagli Istituti previdenziali.

Invero, e parlando in punto di diritto, le sanzioni previdenziali sono le pacifiche conseguenze stabilite dalla legge n. 388/2000 in caso di colpevoli omissioni. E, si sa, alla legge non si deroga. Peccato che gli omessi versamenti di somme a titolo di contributi e premi per i dipendenti delle aziende creditrici, dipendano appunto, sovente in modo riconosciuto e certificato, dal fatto che le imprese stesse, dopo avere prestato le proprie attività a favore del settore pubblico, non sono riuscite a incassare dalla stessa amministrazione i soldi necessari per fare fronte ai debiti previdenziali.

Dunque, ritardi sì, ma incolpevoli. Tuttavia, a parere delle inflessibili sedi territoriali dell’Inps che negano qualunque attenzione e «sconto» alla buonafede delle imprese, le sanzioni civili per il tempo dei mancati pagamenti, sono comunque dovute. Danno e beffe, insomma. Oltre al rischio concreto che la dinamica perversa così creatasi faccia saltare il «banco» delle stesse aziende, come già accaduto.

Una circostanza, oltre che drammatica, ingiustificabile, se si pensa a come, alla luce della perdurante crisi economica e con la volontà di offrire un sollievo reale alle economie delle imprese soffocate dall’assenza di liquidità, il legislatore abbia previsto la possibilità che quest’ultime ottenessero, se non i soldi, una certificazione dei crediti, da «spendere» ai fini del certificato di regolarità contributiva (si veda la circolare Inps 16/2014). Ai sensi dell’articolo 13-bis, comma 5, del decreto legge n. 52/2012 (convertito dalla legge n. 94/2012), infatti, il Durc può essere regolarmente rilasciato in presenza di una certificazione ex articolo 9, comma 3-bis, del dl n. 185/2008 (convertito dalla legge n. 2/2009). In sostanza, il ministero dell’economia, all’interno della Piattaforma per la certificazione dei crediti (Pcc), viene ad attestare la sussistenza e l’importo di crediti certi, liquidi e esigibili vantati nei confronti di pubbliche amministrazioni. Nei casi in cui i crediti nei confronti della p.a. siano di importo almeno pari agli oneri contributivi accertati e non ancora versati da parte dell’azienda creditrice, comunque sia, gli Istituti previdenziali e le casse edili dovranno attestare la regolarità del Durc.

E basti pensare a quanto possa essere fondamentale, per la sua stessa esistenza e attività, la dichiarata regolarità contributiva per un’impresa edile: in difetto, non può svolgere alcuna attività.
Riassumendo. Se l’amministrazione non salda le fatture, l’azienda impossibilitata può, nel frattempo, omettere legittimamente di versare i dovuti contributi all’Istituti previdenziali.

Ma è a questo punto che, come sovente accade, il diavolo ci mette lo zampino. Perché non adempiere (temporaneamente) è ammesso; ma il suo «ritardo» no. Per cui, dato che, con riguardo a tale forma di ritardi incolpevoli, nulla la legge prevede al riguardo, gli Istituti previdenziali vengono a rispettare ciecamente l’articolo 116, comma 8, della legge n. 388/2000. Un cieco adeguamento alla norma, confortato pure dall’interpretazione del ministero del lavoro, dietro cui molte sedi locali si trincerano per difendersi dalle prevedibili proteste. La circolare n. 10/2013, infatti, dispone che «data la sostanziale permanenza della situazione debitoria nei confronti degli Istituti e/o Casse edili, gli stessi conservano tutte le facoltà inerenti il potere sanzionatorio e di riscossione coattiva previste in caso di inadempimento dei versamenti contributivi».

Dati gli importi delle sanzioni civili, ben superiori a qualsiasi interesse legale, tardare i pagamenti potrebbe sembrare un «affare» per l’amministrazione. Ma in agguato ci sono le richieste delle aziende di risarcimento di danni, ad enti territoriali e non.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 52 del 03.03.2015]

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