Società, amministratori e contributi, quando il tunnel è senza ritorno.

C’è il pensionato di ottanta anni che sverna, fortuna sua, al mare e la signora, meno fortunata, con tanto di certificati che ne attestano l’invalidità. C’è, poi, un’altra signora che, oramai oltrepassati i settanta anni, dopo una vita di lavoro, si dedica quotidianamente e intensamente ai nipotini e al proprio orto. C’è anche lo sportivo che ha deciso di godersi i propri lauti guadagni, potendosi liberamente dedicare alle proprie passioni. Sono tanti, spesso anziani, ma non sempre. Sono una categoria eterogenea e, a questo punto, pare chiaramente, parecchio bistrattata. Tutti da un’esperienza unica e totalizzante: non lavorano affatto. Tutti i nostri protagonisti, sono, però, amministratori e legali rappresentanti di immobiliari e altre società “di posizione”. Per tali sono società non fanno (letteralmente!) nulla. Eppure sono entrati in un tunnel apparentemente senza ritorno: quello dell’iscrizione d’ufficio alla Gestione Esercenti Attività Commerciali dell’INPS. Sono spesso gli ispettori a innescare la miccia. Talvolta, invece, basta una semplice constatazione d’ufficio: avere apposto una maldestra crocetta sulla dichiarazione dei redditi può, per esempio, segnare la condanna.

È il caso di un’anziana nonna, per molti anni impegnata in una impresa familiare artigiana, con il marito e i molti figli. Venuto meno il marito alcuni decenni fa, per mantenere in vita l’azienda e dare sostentamento alla propria numerosa e ancora giovane prole, su consiglio del proprio commercialista, decideva di costituire, insieme a tutti i figli, una società in accomandita semplice, con se stessa quale legale rappresentante. Passano gli anni e, fattisi grandi i figli (e anziana la madre), a un certo momento, si decide di affittare l’intera azienda di famiglia, completa di annessi e connessi: stabile, macchinari e ogni altra pertinenza. L’azienda appartiene alla società (che non è intestataria di nient’altro, del resto) e, una volta trasferito il “complesso”, per i soci, da fare non c’è in realtà nulla. Se non fare propri i canoni d’affitto, beninteso.

Per cui -dopo anni di lavoro, alla bella età di 74 anni, e oramai dedita a dare una mano alla parrocchia e a fare dolci per figli e nipoti-, per la nostra nonna tutto potrebbe filare per il meglio e verso un lieto fine. Se non ché, come si dice, il diavolo ci mette lo zampino. Lo “zampino”, al secolo, è quello di un commercialista che, l’anno successivo al trasferimento dell’azienda, appone una malaugurata “X” in una casella del modello della dichiarazione dei redditi della società: quella in cui si chiede di indicare se il socio amministratore operi nella società un’attività di lavoro prevalente. Il commercialista altro non fa –ahinoi!- che riportare “meccanicamente” quanto già indicato negli anni precedenti, quando, tuttavia, la società era ancora, effettivamente, operativa. Capita, così, che la nostra nonna entri in un tunnel da cui è difficile ritornare. L’INPS (dopo qualche anno, invero) solo che scorrendo la dichiarazione dei redditi della società scorge la “contraddizione” con quanto dichiaratogli nelle comunicazioni ufficiali di cancellazione e cessazione della posizione della nostra nonna.

Per cui provvede a reiscrivere d’ufficio la medesima nonna, richiedendo, quale sovrappiù, il versamento della contribuzione omessa negli anni. La nonna, più che preoccupata, si attiva, attivando a sua volta il commercialista. Il quale, afflitto dai sensi di colpa, si trascina come un’anima in pena da un ufficio all’altro nel vano tentativo di spiegare i “perché” e i “per come” della vicenda. Soprattutto, anche per lui –che è un professionista non vi è verso alcuno di spiegare all’amministrazione, che, in realtà, la nonna cliente, da anni oramai, non lavora affatto; né potrebbe, non avendone, oltre che l’età, il tempo. Eppure l’INPS, forte dell’errorea apposizione di una “X” e conseguente violazione –a suo parere- dell’art. 1, comma 203, lettera c), Legge n. 662/1996, continua a perseverare nel mantenimento dell’obbligatoria iscrizione della nonna alla Gestione IVS degli Esercenti Attività Commerciali. Vengono presentati ricorsi amministrativi, beninteso. In essi si evidenzia che, né formalmente, né sostanzialmente, le dichiarazioni dei redditi possono avere alcun significato “confessorio” (cfr. SS.UU n. 15063 del 2002), non possedendo comunque natura negoziale e dispositiva, e costituendo meramente un’esternazione di scienza e di giudizio: quindi, in quanto tali, sempre emendabili (cfr. Cass. 21944/2007). Si tratta di un errore, insomma. E basta. Nelle istanze si evidenzia, inoltre –ancora con maggiore pregnanza-, che se è vero che la nonna risulta ancora, formalmente e nell’attualità, la legale rappresentante della società, tuttavia, le posizioni imputabili alla compagine sociale concernono, oramai, unicamente i ricavi derivanti dal contratto d’affitto d’azienda. In definitiva, non deve essere apportato alcun lavoro personale nella società –né dalla nonna, né dai figli, né da altri- per ottenere l’unico risultato al momento conseguito e conseguibile. I ricavi affluiscono in modo diretto, senza intervento di alcuno: è sufficiente un conto corrente. Eppure, oramai si è nel tunnel. Non c’è verso di ottenere dall’amministrazione, non solo giustizia, ma neppure –come accade spesso- una risposta. Anzi, l’INPS forma e notifica avviso di addebito. Così in questo –come in moltissimi altri casi simili, certo noti, anche personalmente, a quanti leggono non si potrà che ricorrere al Giudice. Ma non va abbandonata affatto la speranza: si tratta solo di offrire gli elementi per un’attenta valutazione di un caso, in fondo, banale nelle premesse e nella sua realtà. L’unica rammarico (oltre che per la nonna che vive e vivrà periodi meno sereni) è per l’occasione persa. Ancora una volta, nei contenziosi di lavoro, ci si poteva arrestare prima, grazie a un po’ di buon senso e alla semplice resipiscenza di un’amministrazione più avveduta e rispettosa. Anche della legge. Solo così si può iniziare davvero –e non solo a parole- a deflazionare il contenzioso in Italia.

di Mauro Parisi

[The World of Il Consulente n. 40/2013]