Sentenze contrarie, nonostante la legge.

Le dichiarazioni agli ispettori del lavoro non fanno pubblica fede fino a querela di falso. Eppure, malgrado la legge (art. 2700 cod. civ.), e non solo quella, sia piuttosto chiara, da tempo non sono pochi i giudici che hanno iniziato a credere il contrario. Per evitare guai, dunque, il primo consiglio utile ad aziende e professionisti è che al momento della loro sottoscrizione, i verbali di sommarie informazioni raccolte dai funzionari, vengano letti e riletti per bene. Massima attenzione a quanto effettivamente trascritto dagli ispettori, quindi, senza dare nulla per scontato. In molti casi verbalizzazioni «mal redatte» sono state più che sufficienti a compromettere senza (facile) ritorno diritti e posizioni di responsabili e aziende. In non poche sedi di tribunale, la firma del dichiarante è bastata da sola a fare pendere la bilancia dalla parte dell’amministrazione. Una situazione tutto sommato inquietante, dato che anche la recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sez. lavoro, n. 166/2014), al riguardo si è orientata senza esitazioni in tutt’altra direzione. Eppure, portando alle estreme conseguenze la ritenuta presunzione di fede pubblica delle «confessioni», non raramente i giudici si sono venuti a spogliare del dovere di formarsi un effettivo e personale convincimento sui fatti loro sottoposti (art. 116, c.p.c.), per uniformarsi pianamente agli assunti degli ispettori.

Conseguenze gravi, dunque. Una caso recente è quello del socio di un pub, che gli ispettori non avevano trovato nel suo locale. Invitato presso l’ufficio ispettivo, il socio offriva tutte le informazioni richieste, per cui gli ispettori redigevano il relativo verbale, facendoglielo firmare. In breve si vedeva però notificare l’atto con cui gli ispettori provvedevano a iscriverlo d’ufficio e retroattivamente alla gestione dei commercianti. In realtà la contestazione non reggeva dato che il socio era dipendente di un negozio. Come poteva essere abitualmente al negozio e anche presso il pub? Ma gli ispettori avevano nelle stesse dichiarazioni del socio il loro asso nella manica. Infatti, risultava che era stato proprio il socio ad avere dichiarato e sottoscritto di trascorrere molte ore del giorno presso il locale di cui è socio. Possibile? Sono in effetti piuttosto frequenti i casi in cui chi dichiara si «fida» e neppure rilegge, prima di firmarlo, quanto redatto dagli ispettori. Al socio non è restato che fare causa. Ma, malgrado le testimonianze e documenti a favore, in giudizio si vedeva soccombere alla luce delle sue stesse dichiarazioni. Per quel giudice, infatti, se non vi era addirittura querela di falso delle dichiarazioni ai pubblici ufficiali, la loro fede doveva dirsi privilegiata.

In realtà, per i contenuti delle sommarie informazioni di lavoratori e soggetti ispezionati assunte nel corso dei controlli, opera il ben diverso principio della cd. fede fino a prova contraria. Cioè, senza bisogno di querela di falsità. In tale senso la S.c. statuisce ora (sent. n. 166/2014) che «quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese» al pubblico ufficiale, la prova non è piena, ma è ammissibile il suo superamento «qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni». Insomma, gli ispettori potrebbero avere compreso male o, comunque, che la situazione sostanziale sia differente rispetto a quella apparentemente descritta in atti dal dichiarante. La prova data in giudizio che incrinasse quanto già affermato ai funzionari, insomma, basterebbe a superare il contenuto nelle sommarie informazioni trascritte. A ulteriore conforto di aziende e professionisti deve essere ricordata, tra le altre, l’ordinanza n. 24503/2012 della Cassazione, sezione penale, la quale afferma che le dichiarazioni confessorie del datore di lavoro in ordine a omessi versamenti previdenziali e assistenziali, non possono provare la responsabilità dello stesso se il verbale degli ispettori è stato redatto senza le previste garanzie difensive. Tra le pronunce di merito, può essere segnalata la pronuncia del 22/5/2013 del Tribunale di Pescara che conferma come la fede privilegiata delle dichiarazioni non si estende alla verità sostanziale delle medesime. Insomma, a favore del nostro socio.

di Mauro Parisi

[ItaliaOggi n. 89 del 15.04.2014]