La sentenza della Cassazione n. 5825/2021 -come la recente pronuncia del Giudice del lavoro di Milano n. 489/2021- conferma l’assenza di discrezionalità dell’Istituto nel rilascio del Durc. E seppure si stia sempre più affermando una corretta nozione sostanziale di regolarità contributiva, l’assenza della certificazione di regolarità può ancora creare non poche difficoltà alle aziende.

Su come vada intesa la nozione di regolarità contributiva -in senso formale o sostanziale- e se davvero sia sempre necessario possedere un formale Durc per godere dei “benefici” garantiti dalla legge, alcune recenti pronunce offrono spunti d’interesse e, tutto sommato, di serenità per il contribuente. Non senza che residui qualche ombra, tuttavia.

Come noto, sono sempre troppe le aziende che, con i loro professionisti, risultano costrette a non facili confronti con l’Inps per ottenere la certificazione della loro regolarità contributiva.

In presenza di inadempimenti contributivi conclamati, tali aziende avranno in effetti ben poco di cui dolersi e nulla da contendere assennatamente con l’Istituto. Eppure, sono ancora numerosissime le situazioni di rifiuti ingiustificati al rilascio della certificazione di regolarità contributiva, che non hanno a che vedere con omissioni di contributi.

I rigetti a concedere il Durc generano ineludibili contenziosi con i contribuenti a causa dei noti limiti alle attività di impresa che ne conseguono. Impossibilità di partecipare ad affidamenti di appalti pubblici e concessioni di servizi, di godere di agevolazioni, di ricevere pagamenti per attività già prestate e oggetto di esposizioni economiche e costi.

Al netto delle peculiarità dei singoli casi, i maggiori motivi di vertenza discendono solitamente dalle non benigne interpretazioni dell’amministrazione di una regolamentazione -attualmente soprattutto l’art. 1, comma 1175, L. n. 296/2006 e il D.M. 30.1.2015, relativo a semplificazione in materia di documento unico di regolarità contributiva- che, tutto sommato, non dovrebbe offrire eccessive ragioni di dubbio e perplessità.

Eppure, secondo una credenza radicata nell’Istituto, rilasciare o meno il Durc costituirebbe una propria prerogativa, lasciata alla valutazione discrezionale dell’amministrazione.

Di tutt’altro avviso è, però, la Suprema Corte, che anche di recente ha ribadito la natura vincolata dell’azione dell’Inps.

In tale senso è, per esempio, la sentenza della Cassazione n. 5825 del 03.03.2021, la quale nel confermare la giurisdizione del giudice ordinario a decidere del ricorso avverso il mancato rilascio del Durc (cfr. SS.UU., sentenza n. 10265/2018), rileva, con interessante puntualità, come l’oggetto sostanziale del giudizio in sede ordinaria risieda nella sola verifica dell’effettiva regolarità contributiva.

NOZIONE DI REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA

Così la Cassazione, sentenza n. 5825/2021

La regolarità contributiva sussiste qualora vi sia correntezza degli adempimenti mensili o, comunque, periodici, corrispondenza tra versamenti effettuati e versamenti accertati dagli Istituti previdenziali come dovuti e inesistenza di inadempienze in atto.

La nozione evocata attiene, evidentemente, a una concezione sostanziale della regolarità contributiva -come più oltre conferma la medesima decisione della Cassazione-, mentre non deve costituire motivo di (potenziale) equivoco il generico richiamo a eventuali “inadempienze in atto” (che l’Inps ritiene ancor’oggi riferibile anche a profili formali), ancora presente nel D.M. 24.10.2007, poi superato dal D.M. 30.1.2015 che non ne fa invece più cenno alcuno.

Sulla circostanza che meri inadempimenti formali non producono effetti sulla regolarità contributiva, in quanto non oggetto di puntuale previsione di legge, anche di recente si è pronunciata la giurisprudenza di merito, come nel caso del Giudice del lavoro di Milano (Tosoni), con la sentenza 20.4.2021, n. 489/2021.

IRRILEVANZA DELLE IRREGOLARITÀ FORMALI

Così il Giudice del lavoro di Milano, sentenza n. 489/2021

Questo Giudice ritiene che sia il tenore letterale della normativa di riferimento a sottendere la necessaria correlazione tra irregolarità contributive sostanziali dell’impresa ed impossibilità di ottenere la attestazione di regolarità contributiva (Durc regolare).

Al contrario, ove l’ impresa incorra in mere irregolarità formali correlate ad errori commessi nella presentazione delle denunce contributive, si ritiene che nulla osti al rilascio del documento di regolarità di natura formale. Ciò poiché non esiste una disposizione di legge che esplicitamente ricolleghi al mero ritardo dell’ impresa a provvedere alla presentazione della denuncia Uniemens -piuttosto che al successivo invito alla regolarizzazione nei 15 giorni emesso da Inps- l’accertamento di una irregolarità contributiva sostanziale.

Nel caso trattato dalla Cassazione, per giungere alla decisione n. 5825/2021, un’impresa edile, malgrado si dimostrasse in regola con la contribuzione, si era vista respingere la concessione del Durc. Aveva perciò adito il Giudice del lavoro che, nei due gradi del giudizio di merito, non solo accertava tale stato di regolarità della ricorrente, ma pure condannava l’Istituto a emanare un Durc regolare.

A fronte di ciò, l’Inps proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la mancata considerazione della natura discrezionale della propria valutazione, la conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo e l’inammissibilità della condanna al rilascio “forzoso” del Durc.

L’avviso della Suprema Corte è, però, che non debba considerarsi corretto che l’Istituto possa agire con proprie libere valutazioni sulla regolarità del contribuente. Ci si dovrà piuttosto limitare a verificare in forma vincolata il rispetto dei versamenti contributivi effettuati da chi richiede il Durc.

E, come conferma la Cassazione, a tale rispetto “contabile” sono da considerarsi equiparati i casi tipizzati in cui l’inadempimento non costituisce ostacolo al rilascio del Durc:

VERIFICA VINCOLATA DELLA REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA

Così la Cassazione, sentenza n. 5825/2021

Il giudizio sulla sussistenza o meno della “regolarità contributiva” non presenta affatto quei margini di discrezionalità che invece rivendica l’Inps al fine di sostenere addirittura che la controversia circa il suo mancato rilascio sfuggirebbe alla giurisdizione del giudice ordinario: risulta all’opposto dalla normativa che l’unico presupposto realmente sotteso all’accertamento della “regolarità contributiva” è l’adempimento delle obbligazioni concernenti contributi e premi, oltre che di eventuali versamenti dovuti alle casse edili.

Se la verifica della regolarità deve improntarsi a tali forme obiettive, non sfugge che al fine del rilascio del Durc si è al cospetto di un’attività di carattere meramente ricognitivo, della cui natura partecipa anche il giudizio tecnico concernente la valutazione di cause che non siano ostative al suo rilascio. In definitiva, una sorta di “check up” predefinito, e nulla più.

La circostanza che l’Inps non abbia discrezionalità alcuna nella verifica della regolarità contributiva non esclude, a ogni modo, che l’Istituto non possa essere “costretto” al rilascio del Durc, quale atto di certificazione di tale correntezza contributiva. In tale senso si esprime ancora oggi lo storico e insuperato art. 4, all. E, della Legge n. 2248/1865, che non ammette la condanna da parte del Giudice ordinario a una condotta positiva dell’amministrazione.

DIVIETO DI CONDANNA AL RILASCIO DEL DURC

Così la Cassazione, sentenza n. 5825/2021

Deve nondimeno escludersi che il giudice ordinario, chiamato a decidere su una controversia in cui un’ impresa o un lavoratore autonomo lamenti il mancato rilascio del DURC per presunte irregolarità contributive, possa condannare l’ente previdenziale a rilasciarlo: osta al riguardo la previsione della L. n. 2248 del 1865, art. 4, all. E, la quale, nel prevedere il divieto, a carico del giudice ordinario, di condannare la P.A., o un concessionario di un pubblico servizio, ad un facere, non detta una regola sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma investe piuttosto l’ individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario, che concernono appunto il divieto di annullare, modificare o revocare il provvedimento amministrativo (così, tra le più recenti, Cass. S.U. n. 23835 del 2004).

Se il Giudice del lavoro non può condannare l’Inps a rilasciare il Durc -pure potendo accertare la regolarità contributiva disconosciuta dall’Istituto-, ciò non pare certamente privare dei propri diritti il contribuente, risultando di norma sufficiente l’accertamento della regolarità sostanziale per conseguire i “benefici” che ne sono connessi.

Va a ogni modo segnalato che la circostanza dell’“assenza” del Durc formale in sede di gara d’appalto (ma pure in caso di richiesta al committente del pagamento di fatture, ecc.), malgrado la provata regolarità contributiva dell’operatore economico, potrebbe costituire comunque prevedibile motivo di “intralcio”, addirittura con esclusione dalle stesse gare pubbliche (cfr. art. 80, comma 4, D.lgs n. 50/2016). E se è vero che anche il Codice degli appalti sembra ora puntare a una nozione sostanziale di regolarità contributiva, non di meno va osservato che la giurisprudenza dei Tribunali amministrativi si mantiene ancora attenta alle “forme” e alla necessità della presenza documentale di tempestivi Durc (cfr. TAR Lazio, sentenza n. 4529/2020).

Per cui, ribadito che ciò che senz’altro più conta è la provata correntezza contributiva sostanziale -di cui le sentenze del Giudice del lavoro possono fare stato-, può dirsi buona regola di prudenza quella di curare costantemente il mantenimento della regolarità formale del proprio Durc. Se necessario anche con la mera presentazione di tempestivi ricorsi -fattispecie tipizzate di regolarità de iure-, ove se ne presenti il caso.

di Mauro Parisi

[Sintesi n. 5 – Maggio 2021]